Una
vaga atmosfera fumosa mi avvolge mentre trepidiamo per l'arrivo di De
Gregori. Un misto di emozioni mi accompagna. L'incontro con un
musicista che non ho ancora visto dal vivo ma che ha scandito alcune
tappe della vita di questo paese nell'arco di oltre quarant'anni. De
Gregori e la contestazione politica e dei costumi. De Gregori e il
senso di appartenenza ad un progressismo di sinistra svigorito dal
tempo e i compressi. De Gregori e le storie di uomini piccoli e
grandi, coraggiosi eppure così comuni, figli di un grande destino o
solitari e forgiati dalla Storia.
Le luci si abbassano e gli
artisti sfilano nella penombra: sono tanti attori del rito sempre
nuovo della musica che rinnova i suoi linguaggi ed affina i suoi
strumenti per dispensare emozioni e coinvolgere, unire, abbattere
barriere. Eccolo De Gregori, capitano di un mare sterminato di
canzoni e suoni. Ci viene incontro come un viaggiatore pronto a
riabbracciare i suoi amati compagni, a rivedere i posti di
sempre.Elegante, dinoccolante, sciolto e sicuro sui lunghi passi
dell'uomo che ha molto viaggiato, il cantante e' pronto per
l'abbraccio con la scena. Smaliziato se ne fa cullare con noncuranza
e freschezza di accenti. La faccia serrata da occhiali scuri, il
volto dalle fattezze impenetrabili, si dimostra invece prodigo di
gesti e parole. Parla del suo nuovo album con sottile ironia che
riscalda e ne smorza benevolmente il mito, sempre mantenendosi
misurato e riflessivo. Ha carisma ed eleganza da vendere, toni alti e
pieni, quelli che mancano al nostro paese riempito di
pseudo-intellettuali ,che non perdono mai tempo per incensarsi.
De
Gregori può essere anche pungente con sé stesso, indulgere apiccole
confessioni e restare sempre se stesso, un uomo che vuole stare
assieme agli altri, uno scrittore che arriva a certe altezze
poetiche, ma non le rivendica, mescolandole invece alla carne ed il
sangue delle pene dei giorni.
Quando apre lo scrigno dei suoi
ricordi la voce è ancora più tramata da un insondabile passione. La
gentilezza si fa canto ed assurge ad empiti di tatto misurato, di
empatica, scanzonata vicinanza.
Allora penso che De Gregori si fa
grande non sono solo perché ha una voce carezzevole e speciale,
tecnicamente precisa, tagliente fino all'inverosimile, no De Gregori
è il compagno che ti siede accanto e ti può anche suggerire, ma che
prima ancora ti incontra e ti da una pacca sulla spalla invitandoti a
prendere un bicchiere. E' l'attore di una scena più grande con una
valigia sempre pronta, come si è autodescritto, in continuo
divenire, che ti saluta con una promessa di ritorno accennata da un
sorriso appena sbozzato sulle labbra che non sai se sa di beffa.
Allora penso a Dylan riflesso in De Gregori: lo vedo nel suo modo di
fare, in quel cappello da fuorilegge dell'amore, dal destino erratico
e tutto da inventare. Cita Dylan sotteranemente ma il suo bisogno di
rivendicare le storture è anche figlio di quello spirito libertario
e dalle tante forme artistiche del cantastorie americano.
Sfugge
alle regole questo nostro italico saltimbanco, come potrebbe essere
altrimenti, e soprattutto stringe a se più generazioni: contestatori
impenitenti, giovani innamorati, sognatori imperterriti, anime
anarcoidi ed innamorate della verità dell'uomo.
Alceo Lucidi
Alceo Lucidi
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