La
maniera di parlare di handicap assume nella nostra società
post-moderna e consumistica le parvenze istituzionali di un discorso
“normalizzato”, dando a questo termine l’accezione di
un’assimilazione di senso che procede parallelamente
all’imposizione di un modello imperante tanto a livello politico e
culturale quanto, soprattutto, economico. Oggi che l’apparato dei
consumi sembra riassumere e concentrare il vissuto e le capacità
rappresentative dei soggetti, compiendo, in maniera sicuramente più
subdola rispetto al passato, il tentativo, riuscito da parte delle
élite al potere, di sminuire, bloccandone ogni forma di dissenso, la
specificità psicosomatica e la dimensione etica e culturale dei non
allineati con le regole del cosiddetto “gioco” delle parti
sociali, la diversità, appunto, è sempre più vista in maniera
accomodante e, potremmo anche dire, “sentimentalistica”, comunque
distorta.
Il
tema, o meglio i temi, delicati, contesi e “nascosti” che fanno
da corollario a questo assunto di base sono esposti, con notevole
capacità di analisi, da Giovanni Vagnarelli, uno studioso attento
delle problematiche sociali, filosofo esperto di Gramsci e Gobetti,
che con il suo ultimo lavoro “Handicap e Società. Genesi e
Morfologia di un embrica mento”, intende metterci in guardia, senza
pietismi di sorta o la retorica vuota del “buonismo” falsamente
perbenista, contro quelle che definisce le “sirene”
dell’addormentamento delle menti da parte di un “logos”
predominante o, ad ogni modo, di una cultura “mainstream”,
volendo restare alle parole d’ordine dell’autore.
Come
definire in effetti diversamente questa impasse culturale ed
intellettuale che cortocircuita l’intero ordine democratico e ne fa
un rachitico simulacro, di volta in volta riempito di contenuti
etico-civili, estetici ed intellettuali dalle classi egemoni? Direbbe
Vagnarelli un’espropriazione bella e buona, compiuta furtivamente e
con l’armamentario della retorica, ai danni di chi, dotato di
sensibilità e personalità altre rispetto alla mentalità
comune e ad una cultura istituzionalmente asservita a fini politici,
non è libero di autodeterminarsi facendo sentire la propria naturale
voce di dissenso e protesta. Insomma una cronica mancanza di
rappresentazione sociale, tanto nel caso dell’handicap come delle
più varie marginalità sociali, in grado di condurre inesorabilmente
ad uno stadio di impoliticità.
Dalla
società primitiva, allontanata forzosamente dalla Natura-madre dopo
la nascita dell’agricoltura e le nuove esigenze organizzative
dell’economia stanziale e metodica che presuppone la figura del
Pater Familias, centrata sulla forza del soggetto morale
autoritativo, passando per il modello greco che garantisce solo
apparentemente dignità di appartenenza comunitaria al popolo,
iscrivendola, invece, nelle sfere delle classi egemoni in grado di
incarnare la tavola dei valori civici grazie anche all’uso della
parola speculativa e del diritto come arte di auto-descrizione e
aggregazione del consenso politico, sino alla moderna razionalità
(dal Settecento in avanti) in cui la forza contrattuale del potere
varia i propri assunti puntando sulle categorie di esperienza,
utilità dei fini, benessere e consumo, senza ridurne in ogni caso la
natura coercitiva, i margini di intervento lasciati a chi non accetta
di essere normalizzato è sempre più esiguo. La “regola”
imperante, configurata nella kalokagathìa, sottrae spazi di
rivendicazione all’handicap come modello identitario fiaccandone
risorse, sbiadendo tutto in “proclami volontaristici” ed
indistinte generalizzazioni, appiattendo le coscienze e le cariche
eversive nelle diluizioni di coscienze attraverso l’ipnosi del
mercato e della felicità a tutti i costi che pacificano in maniera
illusoria.
Attraversando
secoli di civiltà, reinterpretando in maniera pluridisciplinare
(filosofica, storica, antropologica, sociologica, legislativa e
pedagogica) il sempre infelice rapporto tra norma, intesa come ordine
precostituito, e spinte socialmente non integrate, Vagnarelli fa
chiaramente intendere, in un libro che non traccia conclusioni ma non
si lascia neppure ingabbiare nella retorica del moralismo edificante
o dei discorsi conciliatori, che l’handicap resta tutt’oggi una
grave questione irrisolta e, nonostante le buone leggi esistenti,
un’occasione di emancipazione mancata per un evidente impossibilità
di mettersi in ascolto dei bisogni fisici ma direi, soprattutto,
etico-comportamentali del disabile. Insomma ancora una volta, e di
più, un’anomalia evidenziata dal costrutto esistenziale
apparentemente perfetto e tecnologizzato, patinato e pieno di
forzature dei cosiddetti “normali”, in quanto come direbbe il
prof. Illuminati che ha curato l’introduzione al volume, la
frammentata identità dei portatori di handicap “è subordinata
alla loro capacità (parziale) di costruirla con gli strumenti
istituzionali, culturali e sociali già esistenti” senza una vera,
compiuta rivendicazione del loro statuto di identificazione e
raffronto col mondo esterno.
Il
libro è stato presentato venerdì 7 giugno presso la Biblioteca di
San Benedetto alla presenza dell’autore e dei relatori, il dott
Alceo Lucidi e il sociologo Alberto Cutini, che hanno avuto il
compito di illustrarne i contenuti e gli indirizzi di fondo. Lucidi,
attraverso un’opera di sintesi ha riperso a grandi linee
l’articolazione del volume di Vagnarelli sottolineandone il
carattere composito, mentre Cutini ha puntato sugli aspetti più
direttamente legislativi e pedagogici della questione in una società,
come la nostra, che esula dal problema liquidandolo molto spesso in
una dimensione pietistica ed assistenziale.
La
stessa storia della pubblicazione del volume rinforza tale concetto
avendo provveduto l’autore a pubblicare autonomamente il testo
attraverso le nuove frontiere dell’editoria on-line senza ricevere
particolari sostegni. Contro ogni forma di resistenza culturale a
considerare l’handicap una forma di espressione identitaria, nella
sua variegata complessità, invitiamo chiunque fosse interessato
all’acquisto del libro a rifarsi al sito: www.ilmiolibro.it.
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