San Benedetto, via Montello 18. La premiata enoteca internazionale BUGARI era qui, in una sobria palazzina dal fascino vecchiotto anni ’50, a occhio (cioè a memoria) alta meno della metà dei mastodonti vicini e dell’obbrobrio appena alzato al suo posto. Non mi è riuscito di trovarne una foto: “di alcuni angoli di San Benedetto non ne esistono” mi dice chi con passione ne conserva a centinaia e d’annata.
Soltanto, in rete, è possibile vedere una ruspa sbriciolare la facciata marron coi mattoncini rossi che guarnivano le finestre; e su Google Maps lo sbrago dei costruendi garage col vuoto soprastante. Ma adesso la puoi ammirare dal vivo la nuova grande opera, se passi da quelle parti.
BUGARI, dunque. Era un’istituzione: i migliori e più rari vini del mondo e tutto quanto di pregiato e gustoso esistesse da bere. Paragonabile alla famosa maison BVLGARI dei gioielli, salvo la “U” giusta, una “L” in meno, e merce… liquida. Quando ne salivi i gradini dell’ingresso era come entrare in chiesa… e quando uscivi, anche solo con una scelta bottiglia da regalare, ti sentivi sicuro, orgoglioso, ottimista… Buttati a mare oggi, dai nuovi barbari, 90 anni di “Civiltà e Cultura del Vino”.
Che la “nostra” BUGARI ora non ci sia più è “normale”, Avec le temps, va, tout s’en va, cantava Léo. Abbattute la palazzina, la grande palma… normale pure questo? In questo residuale spazio di quartiere ad alto deficit estetico - il supercementificato fosso dell’Albula non è il Parco di Goodwood - non poteva poi certo materializzarsi la dimora d’autore del Duca di Richmond.
Ma è “normale” che sia sorto questo titanico sgorbio? Nel rispetto delle leggi! - già li sento strillare, i responsabili e i benpensanti - e certo col consenso di tutti, al massimo qualche borborigma da cattiva digestione, e sempre sottotraccia, si capisce, meglio non esporsi.
Allego foto fresca, non oso commentare.
L’altezza, le sproporzioni di questa torre abitativa da incubo - solo la più recente in una miriade di altre - più la “vocazione alcolica” del luogo, tuttavia mi innescano nella mente una visione onirica: una MAGNUM di vetrocemento alta una quarantina di metri, come una spettacolare installazione artistica, contenente però del vino del diavolo malamente contraffatto che sa di tappo e se lo bevi muori. Ovviamente pure il palazzo che ci sta dentro sa di tappo. No, nessuna “malattia del sughero”, nè roba da cattiva annata: è solo la nota, l’inguaribile, la letale malattia di San Benedetto, il brutto e l’osceno e il kitsch che vincono facile, con questi palazzinari, con questi tecnici, con questi affaristi, con queste amministrazioni.
La tragedia è che questo palazzo-che-sa-di-tappo non puoi mandarlo indietro come al ristorante. Tocca tenerselo.
PGC - 13 maggio 2018
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