lunedì 8 giugno 2020

Astronavi al tempo del colera


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«I've seen things you people wouldn't believe,
attack ships on fire off the shoulder of Orion,
I watched c-beams glitter in the dark near the Tannhäuser Gate.

All those moments will be lost in time,
like tears in rain.

Time to die.»

(Blade Runner,1982)

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              Ho visto cose che noi umani non avremmo immaginato, nel nostro tempo sconvolto dal contagio. Ho visto corpi militari extramondo presidiare città e contado. Ho visto cacciatori di taglie inseguire fuggitivi tra le dune sabbiose delle spiagge, disperdere con lanciafiamme torme di untori; ho visto droni intelligenti perlustrare foreste e campagne, elicotteri in assetto mimetico braccare ogni forma di vita in movimento.
Ho visto androidi organici - in tutto simili agli umani, ma con gravi difetti di fabbricazione - governare le Regioni, parlare uno slang sconosciuto - detto cityspeak - e, sottoposti a test, tradire nei tempi di reazione anomali e dissociati la loro natura aliena.

       E ho visto astronavi scendere fra noi - a Milano, a Civitanova Marche - in realtà urbane confuse e distopiche, dalle quali chi ha potuto è da tempo fuggito riparando nelle colonie extramondo.

       Poco si conosce di queste forme di vita galattica finite qui alla deriva: si favoleggia di equipaggi composti di androidi che avrebbero perso memoria dello scopo originario della missione e dell’esistenza stessa di un mondo esterno. All’occhio umano, nelle loro raggelanti geometrie esse appaiono disabitate; non si esclude tuttavia che gli occupanti siano mantenuti in uno stato di ibernazione o di animazione sospesa.

       Gli scienziati ritengono trattarsi, con ragionevole certezza, di macchine autoreplicanti che sfrutterebbero le risorse trovate nel sistema di destinazione per creare copie di sé stesse e riprodursi all’infinito. Due intanto, le “Bertolase” - in gergo tecnico - già replicate.
La ciurma delle Bertolase risulta composta da un comandante eponimo e da un insieme eterogeneo di replicanti umanoidi: frutto di ingegneria genetica che ha dato loro sembianze di presidenti, sindaci, assessori, funzionari, tecnici regionali, essi sono privi dell’esperienza di vita vissuta che caratterizza invece gli umani e sono per ciò stesso incapaci di relazionarsi con la vita reale.

       Del comandante eponimo - l’androide “Bertolaso” - si sa soprattutto che scompare a tratti per ricomparire in altri luoghi al comando di nuove formazioni aliene: progettato dall’ingegneria genetica per rispondere a compiti disparati, è come ogni replicante dotato di competenze artificialmente innestate e di una fallace consapevolezza di sé.

       Le due astronavi, monumento all’ambizione senza freni e ad inconfessati interessi, col loro tragico pallido scheletro inutilizzato sono destinate a fare i conti con realtà che sfuggono pericolosamente al loro controllo, e probabilmente a gravitare per sempre nel vuoto come l’antica astronave Anomalia, scomparsa da tempo nel sistema solare con tutta la sua ciurma.

E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire

Sara Di Giuseppe - 7 Giugno 2020




mercoledì 27 maggio 2020

Le 3 piramidi (poco faraoniche) di San Benedetto

Costruite anch’esse dai gatti come quelle egiziane, 
ma dai nostri gatti del Porto.



Sono i discendenti di quelli, e abitano nei cunicoli e negli anfratti lì intorno:

-          L’anziano striato di scuro, zoppo e con un occhio solo

-          La bianca e nera sempre incinta attorniata dai suoi ex piccoli, 

           ormai indipendenti

-          La pezzatina superforastica dal pelo dritto

-          Il nero-tinta-unita contemplativo

-          L’altro nero con la macchia bianca, miagolante e affamato cronico

-          Il tigrato dagli occhi verde oliva, la coda arricciata e l’aspetto acrobatico

-          …

           Nessun gatto Sphynx, che sarà pure aristocratico ed egiziano ma è senza pelo: i nostri ruspantoni non ci tengono a essere chiamati "spelacchiatoni".

           I nostri gatti del porto sono ovviamente bravissimi a costruire piramidi, ma non di pietra, le fanno di cemento. Niente massi da trasportare, niente schiavi egiziani nè architetti tra i piedi: basta uno stampo e una colata di cemento. Tutto più facile e veloce, alla fine le piramidi sono pure più belle.

           Poi qua il cemento abbonda: basta rubarne un po’ nei tristi crateri di scuole e alberghi e cinema abbattuti, dove al posto di quelli nasceranno cubi di cemento stupidi e kitsch da vendere a banditi e pollastri.

           Insomma le 3 piramidine di San Benedetto (foto non-Baffoni allegata), le uniche al mondo bagnate dal mare, meritano una visita.

Per la Sfinge (di cemento) c’è invece da pazientare, i nostri gatti sono pigri, non gli piace sudare, le loro 12 vibrisse ne soffrono…
 


PGC - 26 maggio 2020





lunedì 16 marzo 2020

MassimUT2

Da qualche giorno abbiamo più tempo per pensare... Anche agli amici, di oggi e di ieri.
E allora lo ricordiamo così, Massimo Consorti, come ci riesce meglio. Per il momento.




giovedì 23 gennaio 2020

Anime smarrite, anime belle - appunti in treno

Un uomo grida a se stesso o forse alla sua famiglia lontana. Impreca in una lingua sconosciuta, certamente si dispera, infreddolito, curvo e chiuso in sé stesso. Con passi sconnessi, spigolosi come i suoi capelli dritti e neri davanti al viavai indifferente della piccola Stazione. Spero non mi venga addosso, non capirei nulla, non saprei cosa fare… Il tizio si allontana bruscamente.
Salgo sul Locale e chiedo conferma della tratta. Mi siedo confortato e finalmente in viaggio.

Cerco un bagno al secondo ed enorme snodo ferroviario. Non ho fretta, ho tempo. Donne e uomini con ingressi distanti. Al tornello da gettonare c'è una signora un po' curva e non più giovane, forse per l'aspetto e i suoi vestiti lunghi e logori. Cerco l'euro ma qualche centesimo lo allungo alla portiera abusiva e precaria. 
- Signore, - mi dice - ha il borsello aperto. - 
Rispondo - Lo so, - fidandomi della mia figura dissuadente e mascolina. 
Mi lavo, esco e lei non è già più lì. Meno male, sarebbero altre parole inutili e forse qualche altro centesimo, questa volta da negare.
Attendo e fumo una sigaretta all'esterno della grande casa dei treni rossi, argentei e verdi misto-fango dei pendolari. Una passante mi avvicina: 
- Ha mica una sigaretta? - 
- No, fumo queste… da rollare. - 
La ragazza adocchia l'alta pattumiera al mio fianco, con lamiera forata e tanti mozziconi di sigarette. Alcuni sono consumati solo a metà immersi in un insieme misto di vecchia cenere e sporcizia varia, come solo nelle stazioni si vedono. C'è una sigaretta quasi intera. La prende e rivolgendosi di nuovo mi dice: 
- Hai d'accendere? - 
Niente di più probabile: - Certo! - 
La ragazza riprende il suo andamento ondulato e incerto, forse temporaneamente meno ansioso.

Vado al binario 7, sotto al piano stradale, dove c'è ancora poca gente. Manca quasi mezz'ora. Mi appoggio al muretto delle scale che portano ad altri piani della cittadella ferrata. Mi riposo nell'attesa. Un signore magro sulla settantina, ma ben portati, si avvicina per chiedermi se al binario passasse il suo treno, sempre verso sud. Confermo - Pescara. -
Risponde - Sa, ancora sul display non è comparso… e l'orario, e allora sa… 
Rispondo - Non si preoccupi, anch'io scendo e ho visto che è quello giusto. Vado a Sben. - 
Ci scambiamo dei cenni rassicuranti. 
Continua - San Benedetto, la conosco poco, ma in Ancona ci sono stato spesso e ho mio figlio lì. 
- Anch'io, - rispondo - da poco tempo mia figlia ci si è trasferita. Da dove sta venendo? 
- Da Modena, sono stato per un controllo dopo un intervento alla gola. Qualche mese fa mi sono operato sempre lì e dovevo farmi qualche esame. 
- Mi dispiace. Tutto bene ora? Positivo, anzi no, negativo? - 
- Sì, non c'è niente e sa, è stata una bellissima notizia. - 
Dal viso sereno si capiva che ne era felice, sollevato. Continua vedendomi col tabacco in mano: 
- Anch'io fumavo, ma poco poco. Sei, sette sigarette. Ma se ti deve venire, ti viene, anche se non fumi. Succede a tanti. - 
Pensavo proprio la stessa cosa. Il signore, di Bari, si sarebbe fermato a Giulianova, presso la sua seconda casa, piccola e unicamente dedicata ai giorni di mare. Ex impiegato comunale, responsabile all'ufficio ambiente, ora lontano dall'amministrazione, mi parla di De Caro, di Emiliano, delle difficoltà appena accennate e lasciate intuire della città del Levante.
Arriva silenziosamente il potente ferro argento a strisce rosse. 
Saliamo sulla stessa carrozza ma posti diversi. La conversazione finisce.

"Viaggiare in treno è, a volte e fuori dall'esperienza quotidiana, un privilegio, una scuola di confronto, conoscenza, di approfondimento, riflessione, studio, o di stupore e rammarico per le tante situazioni di disagio sociale. Una palestra fuori dai tele-schermi antichi e nuovi, fuori dalla cronaca raccontata o subita. Non ci si annoia, insomma."

Continuo il viaggio e questa volta i cambi sono finiti. Questo 'legno' mi porterà fino a casa. Non proprio, ma in prossimità, a due chilometri e mezzo. Li farò volentieri a piedi. Adesso posso immergermi in brevi letture e conversazioni al telefono con le figlie. Ecco cosa mancava nell'elenco di cui sopra: chiacchiere e pensieri con i cari, sparsi per lo stivale, amici poco frequentati e distrattamente sentiti con sporadiche e veloci conversazioni. Ne ho sempre poca voglia, la mia 'pigrizia' in questo senso è nota. Ne approfitto. 

Le ore passano, ma nel conteggio finale ne restano davvero poche. Forse neanche una e, alzandomi per prendere una boccata d'aria più fresca nello snodo d'uscita, noto meglio il ragazzone seduto vicino a me sull'altra linea dei finestrini. Mi fa capire che anche lui avverte caldo. Sbuffa e io rispondo a gesti. Capisco che non è italiano. Forse americano o tedesco? Fa lo stesso, ci capiamo per quel poco che dobbiamo scambiare. Nel frattempo sento qualcuno che grida, ma sono distratto e capisco appena che maledice e impreca contro qualcun altro. Faccio fatica perché non vedo la scena. Qualche secondo dopo mi accorgo che sta indiavolato al telefono. Mi domando: ma si renderà conto che è in treno e non a casa sua o in macchina? Chi gli sta a fianco lo subisce, e senza poter protestare! Vabbè, l'importante è che finisca 'sta sceneggiata.
Il ragazzone viene anche lui nello snodo a sgranchirsi le gambe e prendere una boccata d'aria fresca. Mi fa capire che viene da un viaggio lungo. Portogallo e poi qualche altra cosa come una sosta in Liguria. Adesso scenderà a… San Benedetto del Tronto. Lo ripeto anch'io scandendolo, e aggiungo: long name! Viene per lavoro, non capisco quale, e viene dalla Norvegia ma non afferro la città. Tanto oltre Oslo non conosco. Come moltissima altra geografia.

Arrivato. Saluto il signore di Bari e il ragazzone norvegese. Ho 20 minuti di strada a piedi. Recupero la tregua con i polmoni e mi accendo una sigaretta dopo una pausa per la rollata. Sono a casa, sono fresco di oltre 10 ore di viaggio ma non sono affatto stanco. Sono stato in un posto nuovo, sono stato con mia figlia, ho parlato piacevolmente con amici e familiari. Ho percorso 1.200 chilometri in due giorni e mezzo, prima in auto e poi in treno. Ma non c'è paragone tra i due mezzi.


Francesco Del Zompo - 22 gennaio 2020