Siamo nel duemiladiciottoquasiduemiladiciannove e non nel millequattrocentoquasimillecinquecento, e San Benedetto non è Frittole.
Eppure “non ci resta che piangere”, alla vista dei salici piangenti appena giustiziati sulla pubblica piazza davanti alla chiesa.
Del più grande e bello - che ha sempre pianto, come da contratto, e pure con convinzione - i cui lunghi rami con foglie a punta verdi o gialle si curvavano fino a terra e i bambini ci giocavano a nascondino, ora resta solo un moncone di tronco (circa 70 cm. di circonferenza) ancora umido di lacrime.
Dice il medico del Comune – che non è certo Leonardo da Vinci – che soffriva di malattia incurabile (mah…). Come pure gli altri, di cui non allego le foto per non inumidire ancor di più gli occhi.
Sembra quasi di vedere lì intorno lugubri figuri in mantello nero a cavallo…: ma in questa città cannibale c’è davvero una fatwa che stermina gli alberi a velocità elettrodomestica. Non solo i pini, vittime favorite di questa ed altre amministrazioni di scellerata incurabile miopia. Adesso pure i salici piangenti. E non siamo nel 1492, dicevo.
In questa parte di città c’erano solo quei salici piangenti che, pur se solitari e piantati lì per caso, per ignoranza, per moda, ingentilivano un po’ l’orrido paesaggio urbano, lo squallore di un quartiere disfatto, trafitto dalla fredda luce di giganti chiodi metallizzati e storti (erano i soli che ridevano mentre con fascistica rapidità segavano i salici piangenti).
In questo vuoto intersociale che è San Benedetto sembra prevalga un cupio dissolvi, un desiderio di rovina che esala soprattutto, come un vapore mefitico, da ridicole assemblee di uomini inutili, insieme alla lurida ansia di demolire anche i ricordi [Ballarin], al gusto di vincere nell’ignoranza, alla prepotenza di affilar coltelli - e seghe - in continue devastanti prove muscolari.
Oggi il risultato è che non abbiamo più i nostri bei salici piangenti. Ma nella chiesa di San Giuseppe lì presso, immutati incalzeranno funerali comunioni cresime e matrimoni, e nessuno tra genuflessioni e meaculpa e litanie verserà una lacrima per quei salici uccisi.
Dunque, con gli occhi impastati di cemento e traffico*, davvero “non ci resta che piangere”. Malgrado Benigni e Troisi.
(*E. Jannacci)
PGC - 22 novembre 2018