domenica 23 dicembre 2018

CHRISTO, che scuola!

[ Anche Grottammare ha il suo Reichstag impacchettato, ma non da Christo ]


        È stato inutile sperare di metterci poco tempo, o il tempo giusto, per rifare il tetto alla Scuola Elementare Speranza (nomen omen).

        Vederla a Natale ancora tutta impacchettata per lavori in corso fa un certo effetto. 

Ma non è un pacco-regalo, è proprio un pacco-pacco. Il nuovo tetto di legno non è stato ancora montato, i lavori continuano a rilento - quando non sono addirittura fermi - e gli alunni continuano a fare i profughi di qua e di là, i genitori quasi se li perdono. [Ma non fiatano]. 

In compenso il Comune spande ai 4 venti saccenti veline e tutto-è-a-posto, tutto-è-in-ordine, tutto-è-sotto-controllo, e ridicolizza e bastona chi osa appena contraddirlo. Un Comune virtuoso così fa. Voi non capite, voi non sapete, voi non studiate, voi non lavorate, voi non vi documentate, voi come vi permettete. Giù sberle. Occristo!

        Era davvero meglio affidarsi a Christo. A parte il tetto di legno - si sarebbe sapientemente occupato anche di quello - lavrebbe certo impacchettata meglio la nostra scuola, con tessuto argentato come il Reichstag di Berlino, cui limpacchettata Speranza [tedesco Hoffnung] somiglia in modo impressionante. Un figurone per Natale, altro che presepe vivente.

        E come in tutte le sue opere dadaiste, Christo Yavachev avrebbe rispettato al minuto i tempi di consegna. 

        Christo non fallisce.


PGC - 22 dicembre 2018


lunedì 17 dicembre 2018

"Mozzacchio" ®

Da Spelacchio a Mozzacchio: la triste sorte degli Alberi di Natale


     Può un nostro giovane albero finir peggio di uno di quegli abeti rossi della Val di Fiemme stroncati a migliaia dal vento elefante? (per dirla con Paolo Conte)

     Cerrrto che può, se capita nelle grinfie di Babbo Natale a San Benedetto.

     Non solo il tronco mozzato malamente. Ma pure brutalizzato con cunei battuti a martellate per tenerlo in piedi morto, impalato in piazza su un cubo di cemento, con le lucine cinesi - più tristi di quelle del cimitero - buttate a casaccio fra i rami. 

     Lhanno subito chiamato Mozzacchio ®. Gli piangono accanto i salici-piangenti scelleratamente segati a novembre
       
     Un posto allegro, Piazza Matteotti.

     Nessuno si meraviglierà se la giostrona finto-ottocento che per tre mesi (!) ci delizierà a pagamento, vorrà ogni tanto intonare una marcia funebre.


PGC - 16 dicembre 2018 


giovedì 22 novembre 2018

“Non ci resta che piangere”

Siamo nel duemiladiciottoquasiduemiladiciannove e non nel millequattrocentoquasimillecinquecento, e San Benedetto non è Frittole.

Eppure non ci resta che piangere, alla vista dei salici piangenti appena giustiziati sulla pubblica piazza davanti alla chiesa.

      Del più grande e bello - che ha sempre pianto, come da contratto, e pure con convinzione - i cui lunghi rami con foglie a punta verdi o gialle si curvavano fino a terra e i bambini ci giocavano a nascondino, ora resta solo un moncone di tronco (circa 70 cm. di circonferenza) ancora umido di lacrime. 

Dice il medico del Comune che non è certo Leonardo da Vinci che soffriva di malattia incurabile (mah). Come pure gli altri, di cui non allego le foto per non inumidire ancor di più gli occhi.

        Sembra quasi di vedere lì intorno lugubri figuri in mantello nero a cavallo: ma in questa città cannibale cè davvero una fatwa che stermina gli alberi a velocità elettrodomestica. Non solo i pini, vittime favorite di questa ed altre amministrazioni di scellerata incurabile miopia. Adesso pure i salici piangenti. E non siamo nel 1492, dicevo.

        In questa parte di città cerano solo quei salici piangenti che, pur se solitari e piantati lì per caso, per ignoranza, per moda, ingentilivano un po lorrido paesaggio urbano, lo squallore  di un quartiere disfatto, trafitto dalla fredda luce di giganti chiodi metallizzati e storti (erano i soli che ridevano mentre con fascistica rapidità segavano i salici piangenti). 

        In questo vuoto intersociale che è San Benedetto sembra prevalga un cupio dissolvi, un desiderio di rovina che esala soprattutto, come un vapore mefitico, da ridicole assemblee di uomini inutili, insieme alla lurida ansia di demolire anche i ricordi [Ballarin], al gusto di vincere nellignoranza, alla prepotenza di affilar coltelli - e seghe - in continue devastanti prove muscolari.

        Oggi il risultato è che non abbiamo più i nostri bei salici piangenti. Ma nella chiesa di San Giuseppe lì presso, immutati incalzeranno funerali comunioni cresime e matrimoni, e nessuno tra genuflessioni e meaculpa e litanie verserà una lacrima per quei salici uccisi.

        Dunque, con gli occhi impastati di cemento e traffico*, davvero non ci resta che piangere. Malgrado Benigni e Troisi.

(*E. Jannacci)

PGC - 22 novembre 2018 


martedì 20 novembre 2018

Sicurezza un corno!

       Dalla stampa locale: Il Comune di Ripatransone, in quanto aggiudicatario del Bando di Sicurezza del Ministero dellInterno (a firma Minniti!) per linstallazione di telecamere di videosorveglianza, riceverà 50.000 euro con la compartecipazione del 30%. Non è chiaro se il Comune spenderà il 30% di 50.000 erogati dallo Stato - dunque solo 15.000 dei suoi - o se 50.000 è la compartecipazione statale per il 30% della spesa totale, che sarebbe ben diverso Ho chiesto in giro, anche agli addetti ai lavori, il dubbio resta.

Comunque sia: sindaco Lucciarini esulta. “…Chiaro segnale della direzione positiva che sta assumendo la nostra azione di governo della città (sic) per assorbire le esigenze in essere (sic) telecamere di sorveglianza strumento strategico per la tutela del bisogno di sicurezza espresso dalla nostra comunità (sic)…”

 Sindaco, ma come parli, cosè questo linguaggio da verbale di Questura?... Ma soprattutto: davvero pensi che Ripa - Ripa! - debba  contrastare fenomeni di criminalità diffusa? (la condizione, appunto, per avere la regalia di 50.000 euro). 

       Qui non ci sono bande armate scorrazzanti per il paese, non ci sono sparatorie, inseguimenti, rapine, scippi, non si vende droga al bar o in chiesa, niente assalti a banche e diligenze, spaccate alle goiellerie, rapimenti di suore, roghi di pullman Abbiamo al massimo i soliti maruoli, che non mancano mai. Più qualche cinghiale dai modi poco urbani, ma già gli sparano  

Sembrano, dico sembrano, inoperosi gli stessi Carabinieri della locale Stazione - a  parte le quasi amichevoli palettate per controlli in Valtesino - e se gli telefoni per unurgenza risponde San Benedetto, campa cavallo.

       Insomma: non siamo in emergenza, non siamo allo Stato di Polizia, Ripa non è Chicago anni 20 né Roma/San Lorenzo né Napoli dei Quartieri Spagnoli 

È assurdo, oltre che irresponsabile ed eticamente riprovevole, allarmare i cittadini con lossessione della Sicurezza, cavalcata a manetta e strumentalmente - come vediamo ogni giorno - da certi governanti in odore di fascismo.

       E poi: non è che siamo arretrati, qui a Ripa, qualche telecamera cè già, ci sono quelle delle Banche, della Posta e non pare che stiano continuamente a sbobinare i tremolanti filmati per scoprire chissà chi.

       Le Sicurezze di cui i Ripani hanno necessità sono di altro genere e di ben più pratico livello. Per esempio, le strisce bianche (o gialle) sulle strade per combattere la nebbia che qui cè sempre. Costano poco (difficile far la cresta), sono facili da disegnare. È stato detto chiesto e scritto più volte, allex sindaco, allex Presidente della Provincia (che è pure di Ripa). Neanche una risposta. Maleducati. 

       Così arriva un altro inverno e stiamo peggio di prima per colpa di chi amministra: che dovrebbe con coraggio rifiutare quei 50.000 da dilapidare in telecamere inutili, regalati da uno Stato che gioca sulle psicosi collettive e sulla supina accettazione da parte dei poteri locali di una politica tanto muscolare quanto inefficace; e dovrebbe invece saggiamente spenderne almeno 15.000 in vernice (li spenderebbe comunque, se non di più, in telecamere) per evitare disagi, pericoli e qualche incidente ai suoi sudditi.


 PGC - 20 novembre 2018 


mercoledì 31 ottobre 2018

È tutto in regola

Grottammare, San Martino, gli animali


       Gli anni passano, a Grottammare cambiano - si fa per dire - le amministrazioni, ma le teste (di legno) rimangono le stesse, uguale la cultura che ne guida le scelte.

       Così quel Regolamento Comunale per la tutela e il benessere degli animali con cui anni fa Grottammare recepiva tardivamente - dopo aver a lungo disatteso l'obbligo - la L.R.Marche n.10/97, conserva invariato il carattere di ciò che nasce per forza e non per convinto moto di civiltà.

       Lacunoso e molto al di sotto della sufficienza, esso non contempla il pur richiesto divieto (in molti Comuni italiani già da tempo in vigore ) di esporre e vendere animali daffezione nonché uccelli, pesci ecc. nei mercati locali (alcuni dei quali - San Martino, San Paterniano - si protraggono per almeno due giorni, in passato anche tre). E neppure prevede uno straccio di limite orario allesposizione/vendita di animali negli stand, minimo sindacale di rispetto per la dignità e i caratteri etologici delle inermi creature.  

[A dispetto di ciò, e con sprezzo della decenza, il Comune continua a definirisi animal friendly].

       Dunque la barbarie continua. Nellanno domini 2018, per limminente Fiera di San Martino saranno cinque gli stand che esporranno/venderanno animali vivi. E non per un giorno né per qualche ora, ma per due giorni (10 e 11 novembre), dalla mattina fino alla sera, in condizioni di notevole stress. Basterebbe questo al configurarsi del reato di maltrattamento di animali per la L.109/2004

       I normali controlli di routine - il trucco con cui da sempre gli amministratori credono di giustificare questa scelta di inciviltà - nulla toglieranno (questanno come gli altri) al martirio di animali esposti in gabbie per più giorni, sottoposti al forte stress della confusione, del viaggio, delle condizioni climatiche; flagellati dai rumori, frastornati dalla folla vociante, sofferenti per limpossibilità di sgambare, provati dalle lunghissime ore di stabulazione, dalle condizioni del trasporto, dallalterato ritmo di sonno/veglia

     Sotto la bandiera di tradizione e cultura asservite a logiche bottegaie, i decisori resistono tenacemente alle trasformazioni dell'etica, della sensibilità comune, alle stesse certezze scientifiche: a tutto ciò che, indicando gli animali come esseri senzienti dotati di vita emotiva e psichica, ne condanna lo sfruttamento a fini di lucro, divertimento, spettacolo, e la violenza su di essi esercitata in qualsiasi forma. Assorta nellestatica contemplazione di sé, questamministrazione come le precedenti resta impermeabile al principio che gli animali non sono merce da trascinare per fiere e mercati a beneficio di portafogli privati e casse pubbliche.

     Ma, come da copione, È tutto in regola! griderà dalle stanze dei bottoni, incurante del messaggio diseducativo e antietico di cui si fa portatrice. È tutto in regola! le farà eco la stampa-da-riporto spargendo turibolate dincenso su questi eredi dellEtà dei Lumi, e come ogni anno intonerà alto il peana per la grandiosa fiera che mobilita folle oceaniche e che tutto il mondo, va da sé, ci invidia.

       Gli animali hanno propri diritti e dignità come te stesso. È un ammonimento che suona quasi sovversivo. Facciamoci allora sovversivi: contro ignoranza, indifferenza, crudeltà.  (Marguerite Yourcenar)


Sara Di Giuseppe - 28 ottobre 2018


sabato 13 ottobre 2018

Omertà

Vino Verdicchio contraffatto. Dicono il peccato ma non il peccatore.
 
 
      La guardo con sospetto, la mia bella dama di Verdicchio DOC dei Castelli di Jesi comprata ieri al supermercato, facesse mai parte di quel lotto incriminato.
     “Operazione Falsicchio” l’hanno chiamata, ma come se l’inventano certi nomi? 15.000 litri - 3.000 “dame” - di Verdicchio DOC fasullo, dopo i ben 150.000 litri di maggio, sequestrati in un’azienda vinicola del Piceno” (di Monteprandone, forse) dalla Guardia di Finanza, dall’Ispettorato Centrale Tutela e Qualità per la repressione delle frodi alimentari, e mi pare pure dai Carabinieri, insomma gente tosta in divisa.
        La sto osservando, ma lei non si muove e non parla, sembra una dama seria… Sono indeciso se fare io la prima mossa, bere un goccio del suo Verdicchio, vedere se muoio…
       Domani per star tranquillo vorrei riportarla al supermercato (in zona Monteprandone, pensa tu), farmi restituire i soldi. Ma non posso: nel diluvio di paginate dei quotidiani che da giorni raccontano il fattaccio non si fanno nomi, né della cantina né del commerciante né del supermercato (un’importante catena di supermercati, sembra). Bocche - tastiere - cucite col fil di ferro. Eppure il reato è chiaro, c’è l’arma del delitto. Nessuno sente il dovere di completare l’informazione. Anche per rispetto e a tutela dei consumatori. Di cosa hanno paura?
       Strana anche l’omertà degli operatori del settore: ristoranti e pizzerie, commercianti di vini, cantine del territorio, supermercati, pizzicagnoli… La faccenda non li danneggia? Si sentono in una botte-di-vino di ferro? Sono sereni? Giurerebbero sull’onestà delle loro dame verdicchie?
       Non è strano invece il pesante silenzio dei giornalisti. E questa è un’altra storia.
 


PGC - 12 ottobre 2018




domenica 2 settembre 2018

SAVE THE CABS di Andrea Rutigliano

[Riceviamo e pubblichiamo volentieri questa ricognizione nel campo dell'animalismo e le sue contraddizioni. Una riflessione critica fatta dall'interno, che non può che giovare per un miglior rapporto tra tutte le organizzazioni e associazioni che si battono per la difesa degli animali, il cui principale compito resta quello di combattere tutti assieme il fenomeno del bracconaggio].

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SAVE THE CABS

DON GIOVANNI 
(piano a Donn’Elvira) 
Zitto, zitto, ché la gente 
Si raduna a noi d’intorno. 
Siate un poco più prudente, 
Vi farete criticar

ELVIRA 
(forte a Don Giovanni) 
Non sperarlo, o scellerato: 
Ho perduto la prudenza. 
Le tue colpe ed il mio stato 
Voglio a tutti palesar 


Per chi è dentro il mondo associativo saranno senz'altro saltate all'occhio due regoline mai espresse alla luce del sole, ma che ritornano spesso. La prima è che in pubblico ogni associazione fa tabù di menzionare anche solo per sbaglio l'esistenza di un'altra associazione sorella che faccia cose simili. Sembra si dica "I miei sostenitori non devono sapere che esiste un'altra associazione che fa le cose che faccio io. Non fosse mai che poi l'altra piace di più di me". La seconda regola è che ogni dispetto, sgambetto o torto che un'associazione fa alla consorella, non deve emergere pubblicamente, "perché sennò si avvantaggia il nemico". Insomma, prendila in quel posto e taci, per amore della causa. O se sei forte abbastanza mi restituisci la fregatura appena puoi. 
Quelli del CABS, per un caso di deviazione genetica, non sono soliti seguire queste regole. Se la RSPB a Cipro mette le fototrappole e in un mesetto di attività prende 16 bracconieri, il CABS lo rende pubblico a chi li segue con interesse. Perché è un'informazione interessante e un ottimo lavoro. Se la LAC fa con il CABS un campo a Ponza, viene scritto che il campo è LAC con l'aiuto del CABS. Se le guardie WWF fanno un campo a Ischia e il CABS li cofinanza, si scrive che loro lo fanno e il CABS li cofinanzia. A quelli di questa strana associazione piace seguire la desueta regola che "a Dio quel che di Dio e a Cesare quel che di Cesare". Senza paura di perdere la propria identità e con un occhio di riguardo verso quella cosa chiamata etica. 
Ora però - visto che sono un po' troppo soli in questo esercizio di onestà - varrebbe la pena violare anche la seconda regola e una volta tanto raccontare qualche dettaglio di come si comportano alcune altre associazioni, preoccupate probabilmente di non esistere per davvero e che un giorno lo specchio possa restituirgli un'immagine vuota. 
Iniziamo dall'estero con la RSPB (Royal Society for the Protection of Birds) che a marzo pubblica un comunicato stampa urbi et orbi in cui scrive che nella base britannica cipriota il trappolaggio è calato del 78% e che questo declino è il risultato dello sforzo dell'Investigation Team della RSPB!! Wow, che faccia tosta, viene da dire. Vale la pena spiegare il perché. 
Dunque... due di loro vanno a Cipro per due autunni di fila circa un mesetto a volta, piazzano dieci fototrappole, il primo anno beccano una ventina di bracconieri (di 400 totali), il secondo anno due soli perché ormai questi hanno capito il sistema e gli fottono le fototrappole e... il gioco è fatto? Hanno ridotto il trappolaggio del 78%? Vittoria? Un sociologo avrebbe un grosso punto interrogativo in testa, penserebbe: che mosci sono 'sti bracconieri ciprioti... 
Magari il quadro è un po' più chiaro se ci aggiungiamo che il CABS nel frattempo con i suoi volontari fa 150 giorni di campo ogni anno focalizzati nella base britannica, ogni notte da mezzanotte all'alba è sul terreno, a piedi e in auto, rimuove 270 reti in 48 ore di fuoco e 586 in un anno, toglie decine e decine di richiami (106 in un anno), obbliga la polizia britannica ad uscire almeno 3 volte a notte, vengono inseguiti dai bracchi ogni volta che uscono eppure ogni notte ritornano, tolgono o fanno sequestrare continuamente reti, senza dare tregua a nessuno. Quelli speronano e distruggono l'auto in corsa del CABS, ma i volontari tornano la notte dopo. Insomma, obbligano polizia e bracchi a stare all'erta ogni notte che dio manda in terra. Nel 2017 la polizia britannica investiga 92 casi di bracconaggio su segnalazione del CABS, 2 su segnalazione della RSPB e 0 su segnalazione di BirdLife Cyprus! Chi è che sta facendo la differenza, se proprio dobbiamo guardare agli attori? Che ne dite, si spiega un po' meglio questo calo del 78%? 

Ma guardiamo un po' più vicino a noi, per esempio alla strategia della LIPU in Italia. Nella primavera 2017 sullo stretto di Messina Giovanni Malara corona un colpo a cui sta lavorando da mesi, filmando con fototrappole e poi riprendendo da una valle all'altra un cacciatore che spara sui falchi pecchiaioli. Grazie al suo filmato tre persone sono denunciate e arrestate. Alla sera i forestali festeggiano con i volontari CABS, fra pacche sulle spalle, spumante e pasticcini, il bel colpo che ha eliminato tre delinquenti. Pochi giorni dopo si unisce alle celebrazioni anche la LIPU, un po' a modo suo, per esempio scrivendo: "...dal 23 aprile al 7 maggio 11 volontari della Lipu, divisi in due turni settimanali, si sono alternati per sorvegliare il passaggio migratorio e prevenire atti di bracconaggio, purtroppo ancora molto frequenti [...] Il campo ha ottenuto risultati importanti soprattutto con l’arresto, da parte dei Carabinieri Forestali, di tre bracconieri, sorpresi a sparare ai falchi utilizzando armi con matricole abrase [...] “Un bilancio positivo – segnala Fulvio Mamone Capria, presidente Lipu che ha partecipato alle operazioni del campo – scaturito da un’ottima collaborazione con i Carabinieri Forestali, che sono riusciti ad arrestare alcuni bracconieri." Nonostante gli omissis il senso è chiaramente questo: la LIPU ha fatto il campo, ha collaborato con i forestali e per l'ottima collaborazione sono stati denunciati tre personaggi. Sì, peccato che l'ottima collaborazione era quella col CABS, accuratamente non menzionato né su Facebook, né nel comunicato stampa. "Brava LIPU!!" - si spellano le mani i suoi followers per qualcosa che non ha fatto, ma fa credere in tralice di aver fatto. Bravi davvero, ma a giocare con le parole, puntualizzeremmo noi. 
In dieci anni di vita fra le associazioni per la tutela degli uccelli ne abbiamo tanti altri di questi aneddoti, dalla Francia alla Spagna, dal Manzanarre al Reno; ma vale la pena soffermarsi sull'ultimo più recente capitolo di questa eterna storia di sgambetti. 

Nel giugno 2016 l'ISPRA e il Ministero dell'Ambiente invitano le associazioni ambientaliste e (ahinoi) le venatorie a stilare partecipativamente un documento sullo stato del bracconaggio e dell'antibracconaggio in Italia. Tutti contribuiscono con dati, idee, informazioni. Sono giorni entusiastici in cui ci si scambia mail e telefonate perché finalmente lo Stato si è accorto di tutto il lavoro spontaneo che abbiamo fatto finora, creando di fatto un coordinamento nazionale, che ora ISPRA e Ministero vogliono ufficializzare. Dall'altra parte del tavolo, seduti sugli spilli stanno i cacciatori, continuamente al telefono a mandarsi messaggi preocupati: "vogliono inasprire le pene", "vogliono attaccare le nostre cacce", "niente più richiami acustici". Gli ipocriti sanno bene che vivono nella illegalità. 
Il piano di azione viene stilato, vengono identificati i punti caldi del bracconaggio (i blackspots), lo si approva, passa anche per le forche caudine della Conferenza Stato Regioni (che lo annacqua un po' ovviamente, visto che in Regione ci sono i cacciatori) e si passa a renderlo esecutivo. Il Ministero a questo punto nomina tre associazioni a caso, Legambiente, Lipu e WWF per rappresentare tutto il mondo ambientalista. A caso perché in materia di bracconaggio non sono quelle più specializzate, anzi. Legambiente è attiva solo con un piccolo nucleo a Brescia, ma per il resto non se ne occupa affatto, la LIPU ormai fa due campi, brutti doppioni di quelli CABS, nei blackspots Sardegna e sullo Stretto, senza però alcun risultato di rilievo. Sul WWF invece il Ministero ci azzecca perché il loro nucleo guardie è effettivamente attivo e preparato. 
E ora inizia il bello. Cosa fanno le associazioni? Riconoscono che un buon contributo può darlo anche il CABS, che è costantemente attivo su 4 blackspots di 7 e che ha fatto dell'antibracconaggio la sua specialità, o la LAC, che da sempre collabora ottimamente con i forestali su Ponza e a Brescia, o l'ENPA, le cui guardie hanno dato l'anima nella lotta contro le vasche della camorra a Caserta, oltre che a Napoli, Salerno e Vicenza? Ma figurarsi! 
Le tre associazioni prendono e scappano col pallone. E scappano a giocare lontano a porte chiuse perché per più di un anno quello che era nato come processo partecipativo scompare dai radar e nessuno sa più niente, né di quello che il "rappresentante degli ambientalisti" (scelto in seduta segreta dalle tre) dice o discute nei tavoli col ministero, né dell'avanzamento dei lavori, né dei documenti che vengono prodotti. 

A giugno 2018 finalmente trapelano (rigorosamente non dal rappresentante ambientalista) alcune indiscrezioni. Viene pubblicato sul sito del ministero il primo rapporto ufficiale antibracconaggio relativo al 2017 e qui nel capitolo sulle attività svolte dalle associazioni ambientaliste - sorpresa, sorpresa!! - indovinate di quali attività si parla? 
Opzione uno: delle attività di tutte le associazioni. Opzione due: di nessuna attività di nessuna associazione. Opzione tre: delle attività di tre associazioni (ad esempio LIPU, Legambiente e WWF) 
Se avete scommesso sull'opzione tre, avete indovinato. Del lavoro fatto per esempio dal CABS nessuna menzione. Niente dei 4 arresti e 30 denunce in Calabria ottenute nel 2017, né delle 21 già realizzate nel 2018. Niente dell'operazione free wildlife che ha portato all'arresto ai domiciliari di 8 bracconieri, partita dal lavoro di ricerca del CABS e svolto in cooperazione con i suoi volontari. Niente del lavoro di scouting in Sardegna che solo a febbraio ha portato a 6 denunce per uccellagione e ricettazione con il sequestro di 200 animali morti e di 220 reti da uccellagione tese. Niente di Brescia dove durante l'operazione pettirosso 2017 il CABS ha contribuito con 48 casi, dei 116 prodotti dai forestali di Roma, oltre a quelli realizzati autonomamente grazie all'uso delle fototrappole e consegnati ai nuclei locali. Niente dei fucili che l'associazione ha contribuito a trovare a Palmarola o delle 2 denunce ai trappolatori realizzate a Ischia. Niente ovviamente neanche del lavoro di ENPA e LAC. Semplicemente nessun altra associazione esiste nel documento ufficiale del Ministero che si occupa di lotta al bracconaggio e redatto da ISPRA sulla base delle informazioni che il "rappresentante ambientalista" LIPU doveva produrre. 

Vi girano un pochino...? Se ancora no, allora aspettate che ci mettiamo il pezzo da novanta. 
Ora bisogna fare i COLPA, brutto acronimo per i COordinamenti Locali Permanenti Antibracconaggio, ovvero dei coordinamenti di tutte le forze dell'ordine e volontari che operano in un blackspot: quando si fa, chi lo fa, "dai, ottimizziamo le risorse", "vai tu a prendere il bracco lassù, mentre noi ci facciamo il cardellaro laggiù", che modus operandi usare, ecc.. ecc. Una figata il COLPA! La logica vorrebbe che a rappresentare gli ambientalisti locali sia colui che fa antibracconaggio su quel territorio, magari da tempo e possibilmente con risultati apprezzabili. 
Magari che venga scelto dal gruppo di volontari che già operano su quel territorio. Peccato che spesso queste figure siano del CABS, LAC o ENPA. E quindi? 
Anche qui è tutto "COLPA loro". Legambiente, LIPU e WWF si spartiscono con logica lottizzatoria i posti di "prestigio", mettendo i loro omini ai posti di comando, a volte più o meno azzeccandoci, a volte tirati davvero per i capelli, persone catapultata a lavorare in un COLPA che non hanno mai fatto antibracconaggio sul territorio. La situazione più paradossale è sul blackspot dello Stretto di Messina in cui a non partecipare è proprio colui - Giovanni Malara - che è dietro alla stragrande maggioranza di tutto l'antibracconaggio realizzato da qualsiasi forza dell'ordine nell'area. Ma è del CABS, quindi non deve apparire. 
Un mese fa in tanti hanno deciso che quando è troppo è troppo così in 56 fra volontari e guardie volontarie di tutte le associazioni (esclusa LIPU e Legambiente ovviamente) abbiamo scritto una lettera alle tre associazioni, affermando che la loro gestione era verticista, omissiva, arrogante e pure imbarazzante. Il WWF ha subito riconosciuto l'errore fatto in buona fede e per una dose di trascuratezza e ha subito integrato le sue guardie nel processo, suggerendo anche delle modalità di partecipazione anche per le tre associazioni escluse. Invece LIPU e Legambiente hanno fatto il gesto dell'ombrello, dicendo in buona sostanza che il pallone è loro e ci giocano come vogliono. I posti non li mollano, perché vogliono visibilità, prestigio e potere (questa seconda parte non l'hanno detta, ma è deduzione legittima). 
E così le cose non sono cambiate, con tanti esclusi da un processo che era nato come di tutti e che alla fine due associazioni hanno sequestrato. 
Anni fa, mentre un impiegato del CABS parlava col direttore della LIPU lamentandosi del fastidio che si provava a interfacciarsi con politici squallidi con cui per necessità bisognava prendere contatti per contribuire a cambiare le leggi, il direttore disse condividendo lo sdegno: "E' che loro sono l'espressione della società in cui viviamo, col suo egoismo e le ingiustizie". 
E già... Adesso è il momento di chiedergli "A' Diretto', sarà mica la stessa società di cui siete divenuti espressione anche voi?" 

DARDI E TRAPPOLE A ISCHIA 

La faccia che il bracconaggio ci presenta è sempre la stessa, dal Nord al Sud e da una sponda all’altra del Mediterraneo. Il mondo dell’uccellagione è un caleidoscopio ribaltato che mette in mostra rozzezza e violenza, e a volte anche una fusione, una saldatura tra criminalità ambientale e generica; tra reati venatori e contro la persona. Un’altra dimostrazione, se vogliamo, del fatto che la caccia, legale o illegale, è un po’ la scuola elementare dei delinquenti. Succede anche a Ischia, teatro pure quest’anno del nostro campo antibracconaggio, della nostra gara contro il tempo per proteggere la migrazione primaverile dei piccoli insettivori e delle sempre più rare tortore comuni e quaglie dal saccheggio di personaggetti, alcuni da avanspettacolo, altri anche da galera. 

Da galera per esempio sarebbe stato quel personaggetto che si fa chiamare "dardo nero" e che ogni primavera si diletta a sparare agli uccelli nei pressi di una scuola elementare di Ischia. Sono anni che le guardie del WWF tentano di incastrarlo: una volta una tortora da lui sparata cadde nella piscina del resort lì di fianco gettando scompiglio, quest'anno nel panico c'è invece andata la direttrice della scuola che ha visto il losco figuro passare per il cortile della scuola col fucile a tracolla! 

Ci avevano segnalato i suoi tempi e movimenti e con un colpo di fortuna avevamo anche individuato dove occultava il suo fucile artigianale. Purtroppo la sorte non è stata dalla nostra. La fototrappola ha ripreso una lumaca che si arrampicava fra i mattoni, ma ha deciso di addormentarsi 
proprio quando "Dardo Nero" passava a prelevare il fucile. E così ci ha fregato, tornando a nascondersi nell’oscurità di un quartiere che lo protegge, perché lo teme. 

Ovviamente gli abbiamo solo detto arrivederci. Mai mollare la presa, quando si ha un indizio. 

E' andata meglio, con quei buontemponi dei trappolatori da orto, ma che fatica. I campi precedenti, sempre "produttivi" pur a fronte di una forte contrazione del fenomeno, ci avevano fatto pensare alla necessità di organizzarne uno più ricco, con tanti volontari pronti a setacciare vaste aree di un’isola zeppa di potenziali siti di uccellagione. E così nel 2018 il nostro campo era ben più numeroso. Eravamo davvero in forze, e abbiamo visitato di giorno e di notte centinaia di orti e giardini, terrazzamenti e promontori. Il risultato? Cinque, solo cinque nuovi siti di trappolaggio, quasi tutti in proprietà totalmente o parzialmente recintate, e molte tracce di una pratica sempre più elusiva ma lontana dall’estinzione. 

A Ischia sembra proprio che mettano giù le trappoline quando c'è forte passo, ma non c'è passo durante tutta la stagione migratoria e così tocca indovinare i giorni e i venti. Nei prossimi anni i nostri campi richiederanno maggiore flessibilità evidentemente, la capacità di intervenire non appena gli uccelli sono segnalati sull'isola. 


Poche denunce anche quest'anno quindi, anche per quella malasorte che ci accompagna sull'isola. Quest'anno un bracco è sfuggito al giusto castigo che la forestale doveva impartirgli, facendo leva sulla tipica sceneggiata napoletana (o meglio ischitana): a suo dire un non meglio precisato trappolatore invadeva il suo orto recintato ogni mattina per mettergli le trappoline a dispetto. E i forestali gli hanno pure creduto, o comunque lo hanno lasciato andare. Un secondo ci è sfuggito perché è riuscito a togliere tutto nei 20 minuti che la pattuglia di forestali impiegava per raggiungere il sito. Alla fine l’unica vera soddisfazione è arrivata da un personaggio che stavamo inseguendo da anni. Lo avevamo già filmato con le fototrappole, ma era sempre controluce e irriconoscibile. Solo stavolta ci è costato cinque notti insonni di controlli invisibili nell’attesa che riattivasse il suo ampio corredo di trappole piazzate in un terreno fra viti e corbezzoli. Proprio la notte prima della partenza il segnale che il bracco si era riattivato ce lo ha dato tristemente uno stiaccino straziato in una trappolina. In un lampo, poco prima dell’alba è stato organizzato l’appostamento dei carabinieri forestali. Non poteva che andare bene, e invece è andata male. Alcuni spari esplosi nelle vicinanze delle trappoline hanno fatto uscire fuori dal nascondiglio i militari; i bracconieri si sono spaventati ma non abbastanza da non far prima scomparire il fucile. Così sulle trappoline non c'è andato più nessuno. Meno male che la nostra fototrappola questa volta aveva colpito e alla fine il timore per un nuovo buco nell’acqua è sfumato. 


Andrea Rutigliano, 31 agosto 2018
CABS Investigations Officer Committee Against Bird Slaughter ITALIA

Rigogolo salvato durante il campo a Cipro  -  Volontario alle prese con una trappolina in un orto a Ischia 

venerdì 17 agosto 2018

Un viaggio nel contemporaneo

Do seguito, scrivendo e riflettendo con chi mi leggerà, a quanto vissuto direttamente qualche giorno fa in treno. Il tema è l'intolleranza oggi in mutazione palese verso il razzismo, sfacciatamente esternato. Lo riporto oggi perché credo bisogna farsi testimoni attivi del clima che si sta vivendo e subendo, non per indignarci ma per non regredire in un clima di assuefazione. Sono ormai fatti di cronaca quotidiana e chi li racconta, o denuncia (vedi Raffaele Ariano), è oggetto anch'esso di minacce e insulti impensabili fino a poco tempo fa. Fortunatamente si tratta di un 'piccolo episodio', il mio, dove i toni non si sono alzati, ma a me è bastato perché si imprimesse nella mia memoria. Forse anche per l'anticorpo positivo manifestatosi in un particolare momento.

Lunedì pomeriggio, 6 agosto, entro nel 'locale' che da Cattolica mi riporta a SBen.
     Cercando un posto libero, vedo per prima una ragazza che si è disposta con le gambe su due sedili. Subito alle sue spalle trovo due posti liberi. Mi siedo e noto difronte alla mia destra una donna dai capelli cortissimi e bionda, sulla sessantina. Occhiali scuri e l'immancabile cellulare in mano. Al suo fianco c'era un posto libero. Sento che la ragazza di spalle, davanti a me, accennava a un incidente molto grave a Bologna, con esplosioni sulla strada, le immagini non ancora disponibili ma si pensa a un disastro. Approfitto della connessione, quasi mai utilizzata in viaggio, per leggere qualche notizia. Mi accorgo che poco lontano da me, a Bologna, era successo uno spaventoso incidente sul tratto autostradale di Borgo Panigale. Mi preoccupo. Avverto una sempre maggiore angoscia che si cumula con la quasi contemporanea notizia di dodici morti nel foggiano.
     Due fermate dopo entra alle mie spalle una persona di colore, credo un nord africano sulla cinquantina, che con passo poco fluido e il cellulare in vivavoce diffondeva musica araba. Cerca e trova un posto a fianco alla signora bionda, che subito lo rimprovera: Spegni quel cellulare, non voglio fastidi e non sederti qui se non chiudi quel telefono. Se no vattene da un'altra parte.
     L'africano, con fatica e credo sorpreso dalla secca e perentoria richiesta, abbassa e poi silenzia la musica del cellulare, borbottando qualcosa come 'stai zitta'. Dopo l'iniziale agitazione verbale, la signora si ricompone come può e il neo-passeggero, ora suo vicino, si adatta al meglio per un assetto da viaggio.
     Tra me e me penso che non sia sufficiente spiegare questa cosa con il solo disturbo causato dalla musica che accompagnava il passeggero. Era certamente la sua 'appartenenza' che aveva causato 'l'alzata di voce'. Meno male che tutto s'è ricomposto in poco più di un minuto e che nessuno sia dovuto intervenire, me compreso.
Una o due fermate più tardi, l'uomo scende e la signora dai capelli cortissimi, biondi e occhiali da sole riacquista l'ampiezza di spazio poco prima condiviso. Tutto scorre normalmente e io colgo l'occasione per riaprire qualche pagina da leggere. Le piccole soddisfazioni di un passeggero al fresco della carrozza. Fuori è un caldo quasi insostenibile.
     Altra fermata imminente. Vedo la giovane ragazza 'punk' difronte che si alza. Presumibilmente scenderà qui… penso. Forse siamo arrivati a Marotta? Ma prima di prendere il corridoio, la giovane si china a destra, verso il posto della signora bionda. Non sento distintamente cosa le stia dicendo, ma una cosa è certa. Ho colto il senso delle sue parole rivolte perfettamente nella direzione della sessantenne: Signora, se qualcuno si fosse rivolto a lei come lei si è rivolta al signore di colore, come avrebbe reagito? È sicura che questo suo modo così aggressivo fosse giusto? Ci pensi!
La vedo poi muoversi perso l'uscita passandomi davanti e, non appena realizzo il fatto, mi giro quasi per assicurarmi che sia successo, volendole anche manifestare con un cenno la mia approvazione, ma è già fuori. Sorrido con in mente il pensiero che fortunatamente, e a scanso di miei pregiudizi, ci sono degli anticorpi che ci fanno essere, o sembrare, meno vulnerabili e più forti di quel che si pensi nei riguardi di questa deriva. Oggi l'Italia rischia sul serio se il clima di odio e di parole pesanti (o sproloqui sui 'generi umani') non ritornano nell'alveo della tolleranza e del vivere civile.
     Fatta questa brevissima e stentata considerazione, il viaggio continua, perché Ancona non è ancora a portata, e dove attenderò il cambio. Ancora pochi chilometri ma pur sempre da fare.
Guardo ancora la signora davanti per un attimo. Ha avviato una chiamata, parla in una lingua che non riconosco. Oddio, ma anche lei non è italiana! Forse dell'Est? Ironia del rimescolamento delle 'razze' e delle terre-patrie che ci vogliono uniti nel disprezzo dell'ultimo… arrivato.

Francesco Del Zompo - 12 agosto 2018

martedì 7 agosto 2018

INDIETRO TUTTA

Indietro tutta, Renzo Arbore non viene a "Cabaret amore mio", rien ne va plus.
L'Orchestra Italiana lascia il posto ai Senzavergogna di Grottammare.

Ma: Grazie dell'Arancia d'Oro Bis, dice Renzo a Henry
Lo sao o non lo sao
che a noi non basta il Cacao Meravigliao dal gusto esagerao
Io faccio 'o show col clarinetto solo se ci danno i milioni.
Così tu vecchia mutanda
non saprai come nasce un bel blues, uno sfigato mambo, un geghege'...
Tu si' guaglione, hai fatt 'a frittata e la vulivi ribalta', ma t'a jita 'n terra
Mo' tieniti la notte ruffiana
poi ti guardi allo specchio e ti sputi in un occhio
Evviva le tivvù, ma io non vengo (più) dopo il Tiggi' se non ci danno i milioni
Perchè la vita è tutt'un quiz
Za Za 


Parole e musica di Renzo Arbore    
Saccheggio di PGC - 5 Agosto 2018




giovedì 2 agosto 2018

La scuola che non vogliamo

Selezione naturale


        Sulla stampa locale di fine luglio (Corriere Adriatico, 26/07/18) ci si occupa di scuola. Una dirigente scolastica affida al giornalista i dati concernenti laltissimo numero di studenti rimandati e bocciati nel suo Istituto - il Liceo Scientifico Orsini di Ascoli Piceno - e se ne cinge come di un alloro, ne fa attestato di eccellenza.
        
        “194 i rimandati durante lanno scolastico. Significa che questa scuola ha visto ritirarsi (a.s. 2017/18): 56 studenti delle prime classi, 68 delle seconde, 42 delle terze, 28 delle quarte. Poi ci sono i bocciati: 21, compresi i due non ammessi alla Maturità.

        Cifre che sgomentano, nelle loro evidente anomalia, ma più ancora impressiona il senso altamente positivo che la preside ricava - e il giornalista acriticamente raccoglie dalla lenzuolata di cifre. Che sono quelle di una Waterloo scolastica, e non inorgoglire dovrebbero tanta dirigenza, quanto suggerire a questa il dantesco e se non piangi, di che pianger suoli?

        Non piange, la preside, anzi trova in quelle cifre conferma dellaltissimo livello qualitativo  che fa di quel Liceo un punto di riferimento per la formazione di 2° grado e ostacolo insormontabile per chi non abbia in tasca le giuste qualità per farcela (sic), conferma che il liceo ascolano non è di facile approccio per tutti. Il diploma lì conseguito è perciò di quellipesanti (.) che in prospettiva valgono davvero di più chiosa infine, non si sa se la preside o il giornalista.

        Inaudito è che lautorità scolastica utilizzi come marcatori di eccellenza le cifre di unecatombe: impietosa testimonianza, invece, di una scuola che ha mancato clamorosamente i propri obiettivi, che è venuta meno al suo fondamentale compito formativo. 

        Non importa che si tratti di istituto superiore e non di scuola dellobbligo: non cè tassonomia degli obiettivi, dalla primaria in su, che contempli come prerequisito lavere in tasca le giuste qualità per farcela (sorvoliamo sul retropensiero di unespressione così didatticamente infelice); non cè sistema formativo che contempli fra i suoi metodi  la clava della selezione naturale

        Chiunque sappia appena un po' di scuola sa che obiettivo fondante di questa è, al contrario, il superamento degli ostacoli, la valorizzazione delle differenze, la la stimolazione del pensiero autonomo, lincoraggiamento delle attitudini. Oltre alla valorizzazione delle eccellenze, sintende. Non da adesso: almeno dal Liceo di Aristotele in qua. Purchè dirigenti e docenti per qualche strana distopia non scambino la scuola per una di quelle nefaste Università private che eccellono in concorrenza spietata, cannoneggiando numeri, dati, grafici, tabelle e morti sul campo. 

        La scuola è altro da questo. 

        Resta la domanda sullentità del danno prodotto da una scuola feroce che tradisce il proprio compito di formazione umana e culturale in senso ampio facendosi demiurgo di una presunta, presuntuosa, antieducativa e antididattica selezione naturale; da una scuola che spinge così tanti ragazzi a mollare (che razza di espressione) in unetà delicata che non la parola fallimento dovrebbe includere nel proprio vocabolario, ma ben altre: impegno, entusiasmo, curiosità dellapprendere, gioia della conoscenza di sé. 

        Il fallimento va lasciato alla semantica dei mercati; e se gli studenti non sono merce utile allautopromozione di chi mena vanto della propria ferocia, verranno sanamente educati a misurarsi con le proprie attitudini, limiti, qualità, debolezze, a fare i conti con le proprie speranze e delusioni, con sconfitte costruttive. Mai e poi mai con la selezione naturale.

        Curioso è che specularmente, sulla stessa stampa, unaltra preside Liceo Classico e Linguistico Leopardi di Macerata vanti elementi di segno contrario come conferme di eccellenza: gli ottimi e generalizzati esiti dei suoi studenti, culminanti nellalta percentuale di maturati col massimo dei voti. I ragazzi che scelgono il Leopardi, dice la preside, sanno di esser pronti a impegnarsi secondo quello che richiede una scuola come questa

        Istruttiva competizione tra dirigenze, duello di  scuole a colpi di eccellenze contrapposte. Sono più brava io, no io. 

        E clamorosa scoperta: la differenza antropologica tra i liceali ascolani dellOrsini - avventurieri di scarse attitudini che incuranti dei propri limiti intellettuali affrontano presuntuosi una scuola che in pochi mesi, prima ancora di essere almeno a metà strada, li mette alle corde lasciandoli stremati e sconfitti come migranti sui gommoni - e i liceali maceratesi del Leopardi che si iscrivono a quella scuola possedendo un patrimonio genetico di prerequisiti elevatissimi che li rende praticamente già universitari e dottorandi fin dal primo anno di corso, a loro volta antropologicamente diversi da quelli degli istituti professionali che - minus habentes - hannopiù attitudini allaspetto tecnico-professionale per lorientamento al lavoro (sic). 

        Ovvio che non di questo si tratta, ma piuttosto della schizofrenia di un sistema scolastico che da contrari venti è combattuto, e la bussola lha davvero smarrita tra aziendalizzazione, presidi-manager, scuola-lavoro, concorrenza e via mercanteggiando; che, ormai fuori rotta, scambia per eccellenza e progresso il tornare indietro:  alla scuola arcigna e classista che credevamo di esserci lasciati alle spalle, da Barbiana in poi.


Sara Di Giuseppe - 1 Agosto 2018


sabato 28 luglio 2018

"RISERVATO AUTORITÀ"

      E forse un vezzo anche nazionale, ma certo dalle nostre parti, ex (ma non tanto)-papaline, ex (ma non tanto)-borboniche, è retaggio inestirpabile di passato e patologia endemica: quella del posto RISERVATO AUTORITÀ. A sedere. In prima fila, of course.

      Non si dà concerto, conferenza, spettacolo, evento, incontro, che non abbia le sue brave prime poltrone riservate ai papaveri, quelli che - fregiati e fregiantisi del pomposo titolo di autorità - non pagano il biglietto e dopo essere arrivati tardi - non di poco - perché fa autorevole (di certo fa maleducato) depositano gli autoritari loro lombi sulle poltronissime.  E - ulteriore tocco di vassallaggio - lo spettacolo non comincia finchè non arriva lautorità.

     Clamoroso il più recente dei casi, il concerto di Servillo & C. a San Benedetto del Tronto: in piazza Bice Piacentini, con ben 3 prime file a destra e altrettante a sinistra - 10/12 sedie per fila! - Riservate Autorità.

      Arcinota vocazione alla sudditanza saldamente radicata nella nostra storia e fattasi sciaguratamente identità e carattere di noi italiani; incontenibile pulsione allo scappellamento che nulla centra col nobile senso della cosa pubblica, delle istituzioni, dello stato: virtù della quale siamo peraltro drammaticamente privi. Nientaltro che cultura del privilegio, fascino sottile del potere, mistico richiamo della genuflessione. Quando poi si tratti di eventi organizzati dallo stesso Comune e/o da enti ad esso collegati, la riserva di poltrone non è solo esibizione dell Io-so-io alla Marchese del Grillo, ma risaputa occasione di clientelismo miserello e spicciolo. 

      Occorre un sano slancio di disobbedienza: una corale civilissima sacrosanta occupazione di poltrone Riservate Autorità ad ogni evento, ad ogni spettacolo. Determinata, educata , soprattutto irremovibile.

      Se posti devono esser riservati e gratuiti, che siano - per chiunque - nelle file ultime, o laterali, o in piccionaia. Non davanti agli altri! Questione di decenza (e il maleducato che tarda disturberà meno). Chi avendo diritto (ma quale?) al posto riservato, poi ne voglia uno migliore di quello che gli spetterebbe, lo acquisterà al botteghino, proprio come fanno gli umani post-neanderthal. 

Nessuno intende negare alle Autorità la partecipazione ad eventi nei quali mettersi in vetrina, acculturandosi magari, che non guasta. Ma vi partecipino come tutti noialtri, con pari modalità e condizioni.

      Potrebbe perfino capitar loro - e a chi li invita, organizza, ecc. - di rinfrescare involontariamente la dimenticata Educazione Civica: quella che nei manuali scolastici si apre col testo della Costituzione e quel suo curioso Articolo 3, Tutti i cittadini…” e bla bla bla


Sara Di Giuseppe - 26 luglio 2018 


lunedì 23 luglio 2018

Passero solitario?

[ Mai nessuno è solo al PINO BAR ]


        Ma perché solingo augellin hai lasciato lallegra tua compagnia per rifugiarti al PINO BAR? Perché invece dandar cantando per oleandri palme e pini finchè non more il giorno frequenti il PINO BAR? Manco fossi pensoso e triste, o ferito, in lutto, in bolletta di Recanati

        Buono ed educato sei, neanche ti offendi se non ti lasciano stare dentro.

        Ti piacerebbe dormire sulla mensola dei whisky, accanto alle eleganti teiere Twinings, appoggiato ai quadri di vecchi manifesti Campari e Martini, inebriato dai profumi dei rum Havana Club che giungono mescolati alla brezza del ventilatore a pale

        Devi accontentarti di restare lì fuori, quanto basta per ripararti (dalla giostrina che suona troppo forte; dagli Antichi-e-le-Palme che ormai non se ne può più; dalla pestilenziale baraccopoli-Street Food che affumica le stelle; dai reboanti matrimoni alla vicina Palazzina Azzurra sempre più orfana darte; dagli assatanati speakers di gare pseudo-sportive che qui cominciano e finiscono) e tu canti, canti Ciii Ciii

        Vai becchettando avanzi minimi di patatine fritte e di gelati (adori il pistacchio), bevi gocce dacqua minerale Tullia anche gasata, fai Ciii Ciii la mattina quando Maria alza la serranda, Ciii Ciii la sera quando labbassa (buongiorno e buonanotte). 

Passero Solitario si fa per dire.

E con te, meno solinghi anche noi.


PGC - 22 luglio 2018

venerdì 20 luglio 2018

Il fiore volante di Gabriella

        Nel suo negozio di fiori di Ripa pensavo mancasse solo il “Tulipano Nero”.
        Invece da circa un mese il “Tulipano Nero” non solo c’è, ma vola!

        C’era una volta…  - mica tanto tempo fa, faccio per dire - su un tetto di Ripa un nido di corvi. Tutti neri, ovvio, una famigliola normale, tranquilla. Ma capita l’incidente: in un troppo precoce volo d’addestramento un piccolo cade da circa 10 metri giù in strada davanti al negozio di fiori di Gabriella. Si ferisce un’aluccia, non può quindi risalire dai genitori che lo chiamano disperati. Riesce appena ad evitare le macchine (che forse lo scambiano per un piccolo piccione) e a ripararsi dietro ad una provvidenziale fioriera di nessuno. Gli umani lo guardano, chi con sospetto quasi con paura, chi gli parla, chi lo tocca, chi “tanto more…”.
Invece Gabriella lo raccoglie, lo porta in negozio, gli dà da bere e da mangiare. Mentre continua a sfamarlo, gli cura l’aluccia. Lui gradisce e ringrazia a modo suo, infilandosi tra i capelli… E’ amore a prima vista, reciproco si capisce.
Oggi “Nerone” è guarito, è cresciuto il triplo, vola felice su ogni fiore come una farfalla e su e giù per il Corso (Gabriella coach). E’ anche diventato bello come un fiore. Fatti i suoi conti, alla fine ha “adottato” Gabriella. E senza sentire il commercialista, è pure diventato socio del negozio, che è la sua casa-di-giorno. La notte, a casa di Gabriella.
        Proprio un avventuroso splendente “Tulipano nero”.
    
        Fossimo nella Persia antica, sarebbe il simbolo dell’amore perfetto; o un’allegoria politica contro la tirannia, l’indolenza, il malaffare, se fossimo in Olanda.     

        Fossimo nella Francia rivoluzionaria – toh, siamo a luglio – si butterebbe ad attaccare la Bastiglia… 
Ma siamo a Ripa. Beh, fortuna questo “Tulipano nero”.  Tutto il resto è noia.

 

PGC - 19 luglio 2018



venerdì 13 luglio 2018

“TORNO SUBITO” (Forse)

[v. puntate precedenti alla voce PINO BAR]


Aggiornamento sui merli del Pino Bar: nido vuoto, i due piccoli hanno preso il volo, di mamma-merla non si sa, babbo-merlo - come prima - a spasso nei paraggi.

Ma ogni tanto, su un tavolino rotondo accatastato di lato, si posa un giovane merlo (forse uno dei quattro) per avvisare “TORNO SUBITO”. Poi, cantando, riprende il volo.


E’ un merlo del PINO BAR
e canterà finchè lo vuoi sentire

Nella punta del beccuccio poco jazz…
ma non ti deluderà, non ti disturberà

Non cercare di vederlo piangere
perché piangere non sa…

E’ un merlo del PINO BAR *


 
*chiedo perdono a Francesco de Gregori per aver saccheggiato la sua “Piano bar” 

PGC- 13 luglio 2018




foto merlo di Daniela Volpiani

domenica 8 luglio 2018

Bassi lavori in via Ugo Bassi

Gemmazione continua di bassi lavori in via Ugo Bassi a San Benedetto. I residenti - chi ci abita, chi ci lavora - non hanno più pace, ma evidentemente la guerra infinita dei cantieri dopo un po gli piace. Altrimenti avrebbero come minimo forato le gomme lisce dei motocarri, sabotato le betoniere, nascosto carriole, rubato pale seghe e martelli (queste, le sofisticate attrezzature). 

       Nemmeno 200 metri di strada dritta e piana. Solo che sottoterra, oltre ai sottoservizi, alle condutture luce-telefono-acqua-gas ramificate a casaccio, alle malefiche radici di alberi molesti, potresti scoprire di tutto: reperti archeologici dellEtà della Pesca, tesori di pirati, relitti di navi di papi naufraghi in fuga da Grottammare, bombe inesplose delle due guerre mondiali, teschi sorridenti del neolitico, cadaveri di nostrane ammazzatine alla Camilleri 

       Per questo lintelligenza amministrativa procede per stralci: se cè da sistemare le tubature del gas, guai metter contemporaneamente mano a quelle dellacqua del telefono o della luce, che pure ne hanno bisogno. Si fa alla buona solo il lavoro sul gas, poi si rattoppa coi calcinacci e si ricopre con una pezza dasfalto-pronto pigiata coi piedi. 

       Cè da eliminare gli antichi alberi? ZAC ZAC, si fanno dei bei crateri e li si ricoprono con gli avanzi. Dopo un mese a qualcuno vien luzzolo di ripiantarci rachitici alberelli già morenti? Si scava nello stesso punto una nuova fossa, non prima di aver installato lennesimo avventuroso cantiere. 

       Cè da rifare le fogne e gli scarichi delle acque chiare? Allora arriveranno quei vetusti caterpillar giapponesi che scapovolteranno ogni cosa, spaccando per sbadataggine anche i tubi e le condutture delle altre utenze appena rifatte. 

      E così via che neanche a Topolinia, più arruffoni e scombiccherati della Banda Bassotti, e sempre con la tecnica del rattoppo.

       Lavori studiatamente sbagliati, che moltiplicano calcinacci, rifiuti, polveri, rumori, traffico e incidenti. Come se da quelle parti non bastassero gli impicci quotidiani. La ex signorile via Ugo Bassi, perso il suo statuto di  viale, ha da tempo acquisito lo stratificato squallore del resto della città, ma questi ulteriori disordinati lavori fatti alla come viene la sprofonderanno ancora più in basso.

       E che pena quegli operai costretti a lavorar male, a respirare veleni, ad abbronzarsi forzatamente come etiopi, spesso senza lombra di protezioni adeguate e di sicurezza. Al soldo delle solite ditte che, vinta la gara (così si dice, che amenità) AL RIBASSO del 30 40% o più, hanno magari sub-sub-subappaltato a disgraziate altre ditte fantasma, che faticheranno in perdita, peggio che in svendita fallimentare.

       Soldi gettati al vento per lavori tardivi, scadenti, sbagliati. Senza testa. Senza controlli. [E solo la mia opinione-non-autorevole, si capisce]  Eppure pare che a tutti vada bene così, al massimo qualcuno brontola e impreca al bar, sempre sotto traccia, e sempre pronto a sorridere e scappellarsi se passa il sindaco o lassessore, hai visto mai

       Li chiamo bassi lavori. Non solo in via Ugo Bassi

    
PGC - 7 luglio 2018


mercoledì 6 giugno 2018

Il PINO BAR è un piccolo teatro

        In cartellone lo spettacolo della coppia di merli (semplici attori di strada, anzi di cielo) che costruisce il proprio nido 
nella “A” dell’insegna BAR GELATERIA


        A parte qualche rifinitura il nido è praticamente finito e collaudato (come si può apprezzare nel video), ma il bello deve ancora venire: se nessuno li disturba, fra poco ci saranno la deposizione delle uova, quindi la cova, poi la schiusa e la nascita di un numero ics di piccoli merli (guai chiamarli merletti, i primi due si chiameranno Pino/a e Bar).

        Visti il successo e la partecipazione di pubblico di questi primi giorni – eppure nessun giornale ne ha parlato – sarà opportuno cambiare la disposizione dei tavoli, orientare le sedie leggermente a semicerchio verso il “palcoscenico”, mettere un sipario, chiamare Fiore per le luci… Come in un vero teatro.

        Ma no che non si pagherà il biglietto, a patto che tutti brindino gioiosamente - ma senza far rumore - ai nuovi nati e alla “RESISTENZA” del PINO BAR. Alè.

        Accorrete numerosi.


PGC - 6 giugno 2018




martedì 5 giugno 2018

Il PINO BAR è un nido

       Con un po di ritardo forse anche loro per questioni burocratiche o di licenza edilizia i merli son tornati. Una bella coppia, probabilmente vecchie conoscenze. Dopo aver scansionato e perlustrato i grandi pini intorno trovandoli ancora più spelacchiati e tristi, hanno deciso come sempre di metter casa proprio sul PINO BAR, dentro una A dellinsegna. Ma non sulla A di BAR usata lanno scorso  (i merli non nidificano mai sullo stesso posto), bensì sullultima di GELATERIA.

       Non prima ovviamente di aver fatto prove di costruzione e di abitabilità su tutto lalfabeto disponibile. Però: la E (a due piani) è bella ma avrebbe troppi spifferi, la L non ha il tetto, la T ha il tetto ma non le pareti, la stilosa G pare più adatta ai single Beh, questa A in fondo può andare, ha pure vicina la fontanella. Un po stretta? Basta non far troppi figli, non ci sono più le famiglie di una volta

       Vederlo costruire, questo nido, mette gioia. Intanto, per non disturbare i clienti, lavorano solo la mattina presto e un paio dore al pomeriggio: raccolti vecchi aghi di pino e rametti secchi (che fra i tavoli farebbero sporco), dopo averli inumiditi e intrecciati ad arte ci hanno fatto la base (niente cemento, fra i merli è proibito). Manca il cartello informativo di legge (la multa arriverà, arriverà), ma cinguettano che fra 4-5 giorni il nido sarà finito e collaudato: semplice, di design sorridente e gusto vintage, a un solo piano, senza balconi né garage. Larchitetto è lui, becco giallo, linstancabile operaia è lei, nera nera, ma in regola.

       Così, nel fresco della calda stagione, i clienti del pensante PINO BAR avranno altri amici socievoli e mai invadenti, come da contratto. E sarà tutto un GRANDE NIDO, fino a fine ottobre. Poi toccherà emigrare. Ma a maggio, più RESISTENTI di prima, saremo di nuovo qui, noi e i merli. Ognuno nel proprio nido.


PGC - 4 giugno 2018