domenica 26 maggio 2013

Clodoveo Masciarelli a Atri. L'universo nella molteplicità delle forme

Clodoveo Masciarelli è un artista che integra diverse discipline. È scultore, incisore, creatore di gioielli, indaga le forme nello spazio, nella dinamica del tempo. La sua opera si caratterizza per l'analisi approfondita della struttura, che è materia, forma, evidenza, vita. La vita è fondamentale, perché contiene la parte materiale, la trasformazione delle forme, il cambiamento, la permanenza della evoluzione. È un curioso nato, amante dell'esistenza, osservatore con rigore scientifico, esploratore dello spazio, studioso della natura, medico, artista plastico che approfondisce nei dettagli, nella propria ansia del cambiamento che racchiude una pleiade di segreti mondo del subconscio, dei pianeti e delle stelle lontane (…) Quando lavora l'acciaio e altri materiali, imprime loro una varietà di segni, icone, elementi e motivi che descrivono tendenze, evidenze, contrasti, cammini che ci conducono ad una varietà di oggetti, creando nuovi percorsi, che sono alternative specifiche di esplorazione di altri mondi. Nei metalli c'è traccia di vita, sfere, semicerchi, concavità, elementi geometrici vari, orme, tracce che il tempo sagoma (…) Questo si ripete nella produzione dei gioielli e nelle opere grafiche, con la sua attitudine di sommare gli elementi di diversi campi: il cosmo, l'universo, la biologia terrestre, le tracce di civilizzazione, gli impatti di meteoriti, il passare del tempo, la patina del tempo, il colore della vita, l'espressione del diverso nello sguardo delle stelle (…) Il silenzio della sua opera è il silenzio della pace che tutto avvolge. La pace dello spirito si appropria del marasma della vita contenuto nella sua produzione artistica, mostrandoci il contrasto come elemento di orientamento spirituale.

Joan Lluis Montané
Associazione Internazionale Critici d'Arte

Atri – Palazzo Acquaviva

fino al 25 giugno 2013

venerdì 24 maggio 2013

C'est si bon. Come PiGi Camaioni visse il concerto di Georges Moustaki nel 1998. Un "green fax" unico



Quando sul palcoscenico è apparso tutto di bianco, mi è venuta in mente la pubblicità del caffè Lavazza.
Mi vergogno, ma non posso farci niente.
Avendo gustosamente accostato - per sferzare gli assenti - cioccolato e merda (!), qualche responsabilità del "cattivo pensiero" potrebbe però avercela pure Gennari: scegliendo sempre cioccolata, chissà... per una volta... un caffè..
Ripeto: mi vergogno.
Moustaki come San Pietro però non è male.
Quando si stufa dei concerti magari lo assolda Lavazza.
Potenza della pubblicità, il teatro farebbe sicuro il pieno.
Non si sa mai!
"C'est si bon" meglio canticchiarla adesso, con lui, anche in pochi. Dolcemente. Resistenti.
Chi se ne frega se la poltroncina accanto è vuota.
... "Non je ne suis jamais seul
     avec ma solitude"...

22 maggio '98

P.G.C.

mercoledì 22 maggio 2013

ApeRarT 10100. Architetture abitate. A cura di Silvia Rosa




ApeRarT 10100
a cura di Silvia Rosa - in collaborazione con
l'Associazione Culturale ART 10100

Architetture Abitate
Mostra di Sandra Baruzzi, Guglielmo Marthyn e Ugo Nespolo
Mercoledì 29 maggio, ore 19.00
Art Hotel Boston di via Massena 70
Torino

Testi:
Sandra Baruzzi, Ivan Fassio, Daìta Martinez,
Ugo Nespolo, Silvia Rosa, Greta Rosso

Lettura performativa di Donatella Lessio
Video proiezioni di Sandra Baruzzi e Guglielmo Marthyn

Ingresso + Aperitivo
presso il Fibonacci Bar dell’Hotel Boston
10 euro

In omaggio a tutti i partecipanti una cartolina a tiratura limitata, sulla quale sarà apposto un timbro con matrice unica, ideato per l’occasione da Gepe Cavallero

domenica 19 maggio 2013

Francesco De Gregori I°, Papa. Riflessione postuma sui concetti di “oro” e di “ferraglia”


Nessun dubbio, specie dopo il concerto. Anche il nome giusto. Autorevolezza, riconoscibilità, esperienza, credibilità, sapienza (musicale), esempio, guida. Un papa moderno ma antico, anche se nerovestito e con bombetta, invece che bianco e con “saturno”. Un papa amico, un papamaestro. Povero no, certo popolare e amatissimo. Che ovviamente va in piazze stadi spianate arene e teatri, però fa pure dischi “che passati sulla testa fanno ricrescere i capelli”! L’unico “Generale”. Proprietario di una “gioielleria di canzoni”, con le porte sempre aperte. Eppur modesto, signorile: ”Guarda che non sono io”. Nessun “falso movimento”: eppur sempre “sulla strada”, “a passo d’uomo”, vicino a tutti. Lontano dalle mode, anzi pieno di classe e stile, direi da “belle époque”. E finalmente un papaitaliano di Roma, che quando canta “Viva l’Italia” sa davvero turbarti l’anima e farti incazzare, te tapino sfregiato e derubato, preso a tradimento, assassinato dai giornali e dal cemento, dimenticato, disperato, innamorato, metà dovere e metà fortuna… nudo come sempre, che con gli occhi aperti nella notte triste e scura [tuttavia] resisti… Un papa buono, semplice ed educato, che perfino “si scusa del ritardo” [15 minuti], come se fosse dipeso da lui lo stupido inceppo della stampa dei biglietti. Un papacomprensivo e tollerante, che non s’infastidisce più (come qualche anno fa anche da queste parti) se mitragliato con tablet e telefonini; che non ti morde se disturbato o peggio pressato mentre “lavora”. Anzi quasi ti benedice. Non si sarà arrabbiato neanche all’ingresso dell’orrido Panettone, dovendo passare e magari parcheggiare sotto le sterminate ferraglie zincate di pannelli solari. Terribili pezzi di ferro, peggio di pezzi di diossina. Pericolosi anche per la libertà mentale. Avrà solo pensato - poi ce l’ha pure cantato - “Ognuno è vittima e assassino”, “Ognuno è fabbro della sua sconfitta”… Certo, che se coprissero con pannelli solari tutta Piazza San Pietro (sì che può succedere), il suo Buonanotte fiorellino, per l’occasione magistralmente arrangiata a marcia di guerra, non sarebbe più l’affettuoso valzer che adoriamo…e addio santità per Francesco De Gregori…


Pier Giorgio Camaioni

sabato 18 maggio 2013

Esce "Questa non è la mia patria", l'ultimo romanzo di Vincenzo Maria Oreggia


“Dei diritti e dei privilegi”: potrebbe intitolarsi così il nuovo romanzo di Vincenzo Maria Oreggia, Questa non è la mia patria, incentrato sull’appassionata ricerca di una normale ma per nulla semplice serenità. Il tempo è quello presente, con il carico di incertezze e turbamenti tanto atmosferici quanto sentimentali, e la giusta dose di inquietudine. Teatro della vicenda è la nostra “povera patria”, crocevia di razze, speranze, fallimenti. Ad attraversarli è il giovane Juan José, detto Nevio, testimone esemplare di aspirazioni e legami dai nuovi volti: la sua storia di giovane immigrato prende le mosse da un paese, l’Ecuador, sul baratro della crisi finanziaria, per approdare a un’Italia agognata e ingannevole. Il viaggio di Nevio sarà soprattutto una discesa nelle profondità della propria anima: un percorso di crescita repentino e a tratti doloroso, che il giovane ecuadoriano, novello Dante, compirà al fianco di troppi Virgilio senza remore. Questa non è la mia patria è dunque un contemporaneo romanzo di formazione che porterà l’immigrato a fare i conti con una brutale, contorta realtà: sotterfugi, macchinazioni, inganni, un sottobosco di disperati e furbi preoccupati di mantenersi a galla in modo più o meno lecito. Ma Questa non è la mia patria è anche manifesto e preghiera per i molti Nevio che ci abitano silenziosamente accanto, i cui sogni, a lungo cullati, si infrangono contro l’oscuro e incomprensibile muro della burocrazia. 

Questa non è la mia patria
Galaad Edizioni - 206 pp.
13 euro

venerdì 17 maggio 2013

Politica culturale. Roma. Assemblea nazionale Assomusica. I risultati


Conclusa la ventiduesima Assemblea Nazionale Assomusica dal tema “Cultura e Solidarietà in Sicurezza”, svoltasi a Roma, dal 14 al 16 maggio, presso la sede nazionale Agis. L’Assemblea, presieduta dal Presidente dell’Associazione Vincenzo Spera, ha discusso e deliberato su una serie di punti, tra cui: il protocollo d’Intesa con ANCI; la Convenzione con Assoutenti; una Modifica Statutaria in merito alla Contrattazione Nazionale sulle tematiche del lavoro; la richiesta di riconoscimento giuridico dell’Associazione; la nomina dei nuovi Collegi dei Probiveri e dei Revisori dei
Conti.
Sicurezza, lavoro, cultura, ma anche riconoscimento giuridico, analisi dei costi degli spettacoli e dei biglietti, web marketing, sono stati alcuni dei temi al centro della ventiduesima Assemblea dell’Associazione Italiana degli Organizzatori e Produttori di Spettacoli Musicali dal Vivo.
“Lo spettacolo musicale dal vivo è cultura e l’intero comparto è una risorsa del Paese che esige maggiore attenzione da parte delle Istituzioni!”, ha affermato il Presidente di Assomusica Vincenzo Spera introducendo i lavori dell’assemblea. Grande partecipazione e interesse hanno confermato la vitalità di un’associazione che raggruppa la quasi totalità dei maggiori organizzatori e produttori italiani di concerti e spettacoli di musica popolare contemporanea; professionisti delle emozioni della musica dal vivo che, nonostante la crisi generale, continuano ad assicurare a milioni di spettatori, di tutte le età e fasce sociali, qualità ed elevatissimi standard professionali nell’organizzazione di eventi musicali.
La ventiduesima Assemblea di Assomusica è stata aperta dal Seminario dedicato al "Digital Music Marketing”, il mondo della comunicazione ad alta tecnologia al quale questo settore ha sempre rivolto la propria attenzione. Con Stefano Rocco, Direttore Marketing Rockit.it e Fulvio De Rosa, responsabile Web Marketing Assomusica, si è discusso dell’utilizzo dei social network nella promozione di eventi e spettacoli: “Web Marketing” come volontà di “creare business” attraverso i suoi strumenti, dal sito web all’utilizzo strategico di newsletter e social network.

Ascoli Piceno: Enrica Loggi conversa con Franca Maroni sulla poesia.


Nell’ambito dell’iniziativa “Scrittura al femminile nel Piceno”, a cura della Commissione Provinciale per le Pari Opportunità, si è tenuto ad Ascoli Piceno l’ incontro con la poetessa Enrica Loggi.
In dialogo con Franca Maroni, anche lei poetessa, organizzatrice dell’evento, e con un vivace pubblico, l’Autrice sambenedettese ha raccontato la sua esperienza letteraria dagli esordi di ragazza conquistata dalle sonorità del verso, dal “fabbricare” la poesia muovendo dalla propria umanità disarmata, come a un approdo nel porto salvifico della parola. Ha ricordato versi della sua adolescenza, poesie mosse dal vento giovanile che la spingeva nel mondo, dove avrebbe trovato accoglienza presso artisti e teatranti, fino all’impegno letterario vero e proprio, con la pubblicazione di “Vasto era il mare”, che siglava il suo sodalizio artistico col poeta umbro Franco Mancini.
Sarebbero in seguito nati dalla sua penna “Il seme della pioggia”, “Musica leggera”, “ Il talento dei giorni”, “Di acque e segni labili” fino all’attuale “… A una rima di vento” (Polistampa, 2012) da cui Enrica ha letto alcune liriche prima di addentrarsi in un colloquio più stretto con la Maroni stessa circa il ruolo della poesia, la sua origine e il suo riservatissimo posto nella società. A questo proposito sono tornati alla memoria i versi ungarettiani di “San Martino del Carso”, a sottolineare il quoziente intimamente lirico anche della poesia civile. Particolarmente rimarcato il rapporto filiale della poetessa con la natura, ispiratrice al pari del proprio intimo silenzio, di versi come:

I poeti sono soli
col loro inverno
le scarpe bianche per uscire la domenica
le ali stropicciate…

Parole che suonavano, inermi e insieme appassionate, nella Sala del Consiglio del Palazzo della Provincia, severo e solitario, decorato nel soffitto dalle “Quattro stagioni” del Ferri, un coreografico spunto d’arte e fantasia tra sedili austeri.

Il cappello dell'attore. Nota poetico-critica di Alceo Lucidi sul concerto di Francesco De Gregori


Una vaga atmosfera fumosa mi avvolge mentre trepidiamo per l'arrivo di De Gregori. Un misto di emozioni mi accompagna. L'incontro con un musicista che non ho ancora visto dal vivo ma che ha scandito alcune tappe della vita di questo paese nell'arco di oltre quarant'anni. De Gregori e la contestazione politica e dei costumi. De Gregori e il senso di appartenenza ad un progressismo di sinistra svigorito dal tempo e i compressi. De Gregori e le storie di uomini piccoli e grandi, coraggiosi eppure così comuni, figli di un grande destino o solitari e forgiati dalla Storia. 

Le luci si abbassano e gli artisti sfilano nella penombra: sono tanti attori del rito sempre nuovo della musica che rinnova i suoi linguaggi ed affina i suoi strumenti per dispensare emozioni e coinvolgere, unire, abbattere barriere. Eccolo De Gregori, capitano di un mare sterminato di canzoni e suoni. Ci viene incontro come un viaggiatore pronto a riabbracciare i suoi amati compagni, a rivedere i posti di sempre.Elegante, dinoccolante, sciolto e sicuro sui lunghi passi dell'uomo che ha molto viaggiato, il cantante e' pronto per l'abbraccio con la scena. Smaliziato se ne fa cullare con noncuranza e freschezza di accenti. La faccia serrata da occhiali scuri, il volto dalle fattezze impenetrabili, si dimostra invece prodigo di gesti e parole. Parla del suo nuovo album con sottile ironia che riscalda e ne smorza benevolmente il mito, sempre mantenendosi misurato e riflessivo. Ha carisma ed eleganza da vendere, toni alti e pieni, quelli che mancano al nostro paese riempito di pseudo-intellettuali ,che non perdono mai tempo per incensarsi.
De Gregori può essere anche pungente con sé stesso, indulgere apiccole confessioni e restare sempre se stesso, un uomo che vuole stare assieme agli altri, uno scrittore che arriva a certe altezze poetiche, ma non le rivendica, mescolandole invece alla carne ed il sangue delle pene dei giorni. 
Quando apre lo scrigno dei suoi ricordi la voce è ancora più tramata da un insondabile passione. La gentilezza si fa canto ed assurge ad empiti di tatto misurato, di empatica, scanzonata vicinanza. 
Allora penso che De Gregori si fa grande non sono solo perché ha una voce carezzevole e speciale, tecnicamente precisa, tagliente fino all'inverosimile, no De Gregori è il compagno che ti siede accanto e ti può anche suggerire, ma che prima ancora ti incontra e ti da una pacca sulla spalla invitandoti a prendere un bicchiere. E' l'attore di una scena più grande con una valigia sempre pronta, come si è autodescritto, in continuo divenire, che ti saluta con una promessa di ritorno accennata da un sorriso appena sbozzato sulle labbra che non sai se sa di beffa. Allora penso a Dylan riflesso in De Gregori: lo vedo nel suo modo di fare, in quel cappello da fuorilegge dell'amore, dal destino erratico e tutto da inventare. Cita Dylan sotteranemente ma il suo bisogno di rivendicare le storture è anche figlio di quello spirito libertario e dalle tante forme artistiche del cantastorie americano. 
Sfugge alle regole questo nostro italico saltimbanco, come potrebbe essere altrimenti, e soprattutto stringe a se più generazioni: contestatori impenitenti, giovani innamorati, sognatori imperterriti, anime anarcoidi ed innamorate della verità dell'uomo.

Alceo Lucidi

sabato 11 maggio 2013

Soldati scrittore di viaggio, o dell’umanità dell’arte


The very nature of happyness is fugacity […] Happyness is a God who roamsthe world in disguise, seeking shelter, now under this roof, now under that.
(Henry Furst)

Costretto nella classica isola deserta del “giocherello da letterati”, Soldati non porterebbe con sé Dante, né Petrarca, né Leopardi, ma l’Orlando furioso dell’Ariosto. “Poeta dell’Umanità” più ancora che “dell’armonia” come vorrebbe una certa vulgata critica, oltre a divertire, per Soldati, Ariosto dispensa una lezione capitale: che “la nostra letteratura non è tutta sublime e inaccessibile, perché ha almeno un libro sublime proprio per la sua travolgente umanità” [785]. Un discorso su America e altri amori, terzo volume dei “MeridianiMondadori dedicato ai diari e gli scritti di viaggio di Soldati, potrebbe cominciare da qui, da questa breve nota d’occasione che è in realtà già l’analisi interpretativa di tutta l’opera, nonché una cristallina dichiarazione di poetica. I reportages di viaggio più ancora che i romanzi e i racconti brevi, infatti, sono il riflesso di questo amore per l’uomo e il suo “fare” che arricchisce - rendendolo “gentile” e “umano” - il mondo. E si prenda, a mo’ di esempio, nell’Introduzione di Vino al vino, la descrizione dell’enologo Pietro Garoglio: “Piemontese antico e toscano nuovo, figlio del poeta Diego Garoglio, mi si rivelò come un animo semplice, vivissimo, schietto, gentile; e mi offrì così, con tutto se stesso, la più bella prova dell’umanità del vino” [407]. E “schietta” e “semplice”, ugualmente lontana dal belletrismo come dalle ingegnose difficoltà della neoavanguardia, è anche, fino all’ultimo, la prosa di Soldati, nei ritratti degli osti come nelle descrizioni di paesaggio; lievissima e sensuale, mai caricata, nelle rimemorazioni di fugaci incontri amorosi (e si veda l’episodio, bellissimo, alla dogana di Breil nel viaggio verso Lourdes).
Lo sguardo di Soldati viaggiatore è sempre a fuoco: egli tutto vede e tutto annota, del proprio io e degli altri, del mondo interiore come di quello esteriore. E da tutto prende spunto per ragionare sull’esistenza concreta dell’uomo, sul suo vivere quotidiano e i suoi sentimenti. Con uno stile in cui la ricerca del mot juste serve alla costruzione di periodi ariosi ed equilibrati, la prosa di Soldati segue senza sforzo apparente i mille rivoli del pensiero e le innumerevoli sensazioni di viaggio; si sofferma con eguale leggerezza e precisione a notare un cinghietto da polso di “cuoio, punteggiato di bulino” o a ragionare sui misteri e le oscillazioni della fede.
D’altro canto, un tale sguardo sa sempre ritrovare l’incanto e lo stupore della prima volta: è uno sguardo che seduce perché si lascia sedurre da un paesaggio verdeggiante, da una parlata regionale, o dalle spalle nude e il riso vivace di una ragazza incontrata per caso e mai più rivista. Perfettamente settecentesco, per Soldati il ragionamento nasce solo a seguito della sensazione, ed anzi questo (ragionamento) è già contenuto in nuce in quella (sensazione).
America e altri amori interessa, però, anche come esempio spesso già perfettamente compiuto di una narrativa che, attenta al dato reale, contamina il romanzo con altre forme di prosa quali l’autobiografia, il saggio sociologico e culturale o l’articolo giornalistico. Si tratta - e benissimo fa Falcetto a sottolinearlo nella sua Introduzione - di una “seconda grande linea di sperimentazione della scrittura novecentesca” [XXVI]; una linea, aggiungerei, che è ben lungi dall’essere esaurita e conosce invece oggi una nuova fioritura, in Europa come negli Stati Uniti. Anzi: oltreoceano la creative nonfiction, canonizzata in genere a sé, sembra ormai mettere d’accordo critica e mercato. Dove la prima celebra (giustamente) memoires quali The Year of Magical Thinking di Joan Didion, A Widow’s Story di Joyce Carol Oates, o ancora i volumi di literary journalism di Gay Talese, il secondo ne fa dei best-seller.
Mi limito, per concludere, ai confini nazionali: più ancora che servire da intertesto o esercitare un’influenza diretta, oggi i “reportages esistenziali” (Falcetto) di Soldati indicano soprattutto una direzione possibile per rivitalizzare la forma-romanzo: quella di una letteratura in cui sperimentazione e comunicabilità non si escludano, ma riescano ad armonizzarsi in vista anche del piacere del lettore. Una letteratura, direbbe forse Soldati, semplicemente “umana”; e un piacere che il terzo “Meridiano” a lui dedicato rinnova, per noi lettori, pagina dopo pagina.

Raffaello Palumbo Mosca 


“La nemica” di Irène Némirovsky. La nostra recensione


Vale comunque la pena leggere La nemica (Elliot, 2013). Di Irène Némirovsky si tratta. Scrittrice di talento (penso a lavori intensi come Suite francese e allo stupendo e controverso David Golder), oltre che donna complessa e contraddittoria. Ucraina d'origine, naturalizzata francese; di padre ebreo (come lo sarà il marito); pungente critica nei confronti di certi aspetti della cultura ebraica – il che in epoca post-Shoah non è certo gentilmente concesso –, dunque imbarazzante se non scandalosa; tanto più che è ebrea lei stessa, con l'aggravante di essersi convertita al Cristianesimo; non per questo scampata ad Auschwitz dove morirà di tifo a soli 39 anni, nel 1942.
Ed è proprio la complessità del percorso esistenziale e artistico della Némirovsky il principale motivo per cui è interessante leggere La nemica.
Romanzo breve giovanile pubblicato a puntate sulla rivista letteraria «Les Oeuvres libres» nel 1928 a nome di tale Pierre Nérey, La nemica è un abbozzo più che un'opera compiuta. I personaggi non penetrano né la mente né il cuore del lettore, tanto superficialmente e didascalicamente è delineata (non scavata) la loro psicologia, tanto sommariamente è costruito il loro 'carattere'. Dovrebbero accamparsi potenti, plastici; insomma vivi. Così non è. A una velocità disarmante, in una banalissima e gelida sequenza di cause-effetti, si succedono scene di vita che avrebbero potuto essere ben più cariche di senso. Manca un'elaborazione narrativa. Così che quasi nulla della scrittura della Nemica suscita forti pensieri o emozioni. E nulla sorprende. In misura stupefacente, semmai, quasi tutto è prevedibile ed evanescente.
Si tratta di un romanzo di formazione. Vi si racconta della giovane Gabri, abbandonata a sé stessa da una madre alla ricerca ossessiva di risarcimenti a un'esistenza di miserie, interamente dedita alla cura narcisistica della propria bellezza, preda di una passione morbosa e deviata per il fratello del marito. Il quale, ebreo, concentrato nel tentativo – vittorioso – di risollevare le sorti economiche della famiglia, è figura quasi del tutto assente. Il percorso di Gabri appare scontato. L'odio e il rancore nei confronti della madre cresceranno parossisticamente fino a un consapevole desiderio di vendetta, conducendo a uno scontato finale tragico.
Ecco allora: La nemica è un romanzo breve fallito proprio perché è un romanzo di formazione, e intimamente autobiografico. Non è necessario, seppure utile, sfogliare né le pagine della biografia dell'autrice (Olivier Philipponnat - Patrick Lienhardt, Vita di Irène Némirovsky, Adelphi, 2009) né il volume dedicatole dalla figlia (Elisabeth Gille, Mirador: Irène Némirovsky, mia madre, Fazi, 2011). Un'indicazione è già nello pseudonimo Nérey, anagramma di Irène. Tuttavia è nella narrazione la migliore e più convincente chiave per comprendere il 'fallimento' della Nemica.
Irène Némirovsky ha sollevato il velo sul rapporto tormentato con la madre cui è intitolato il romanzo. E, proprio mentre e perché si svelava, ha voluto nascondersi dietro a uno pseudonimo. L'impulso alla scrittura pare qui essere stato l'urgenza di raccontare e dunque vendicarsi – attraverso la parola scritta che sempre urla a voce alta perché davanti al mondo – di una madre irresponsabile ed egocentrica, ottusa e arida. Lo svolgimento piatto della vicenda e l'assenza di spessore dei personaggi appaiono come il frutto della primaria e prepotente urgenza di dire la propria verità per tentare una catarsi attraverso la letteratura. E forse così doveva in ogni caso essere, dato il radicale autobiografismo che rendeva arduo manipolare un materiale bruciante, doloroso, evidentemente non elaborato. Su cui l'autrice doveva correre, correre veloce, senza fermarsi troppo...
Vale comunque la pena leggere La nemica. Nonostante sia un romanzo di formazione fallito, l'autrice ci fornisce squarci di sé utili a comprendere la complessità e le contraddizioni della sua personalità e della sua opera. Ci svela qui un po', forse, come è diventata la scandalosa, imbarazzante a volte, tormentata Irène Némirovsky di David Golder.
Di là dal fatto che immaginare... sentire un cuore caldo pulsare (battendo forte? o rallentando il ritmo? sospendendolo quasi? quanto più possibile...) mentre la mano corre veloce sulla pagina perché altro non può fare (ché altrimenti quel cuore sarebbe sopraffatto? rischierebbe di affogare o frantumarsi? o ché quel cuore ordina di gridare solo il suo dolore, poco importa come...), questo sì emoziona. È un penetrare un'intimità. È, per quanto possibile, accedere a un mondo. Al microcosmo esistenziale e artistico che si dispiegherà, più ampiamente e compiutamente, più tardi.

Michela Matani